Autobiografia rap (in salsa pulp) di un gangster iraniano

"Rheingold" del regista Fatih Akin narra la storia di Xatar, pioniere dell'hip hop in Europa

Autobiografia rap (in salsa pulp) di un gangster iraniano

«I primi ricordi della mia vita sono i ricordi di una prigione». Con questa frase inizia l'autobiografia di Xatar, celebre rapper tedesco nato in Iran nel 1981 da una famiglia curda. Da qui è partito l'interesse del regista Fatih Akin, nato ad Amburgo da genitori turchi, nel portare sul grande schermo Rheingold (un richiamo a L'oro del Reno di wagneriana memoria), coproduzione tra Germania, Italia e Olanda presentata ieri alla Festa del cinema di Roma nella sezione «Grand Public», storia di un artista che ne ha combinate di tutti i colori: «Mi sono immerso in questa biografia, una storia folle di emigrazione verso la Germania, con questa famiglia iraniana scappata da Khomeini, poi, quando i genitori divorziano, il giovane Xatar pensa che, per guadagnarsi da vivere, l'unica soluzione sia la criminalità. Finisce in prigione e lì realizza il disco che mi è piaciuto molto», racconta il regista che nel 2004 vinse l'Orso d'Oro al festival di Berlino con La sposa turca.

Il film inizia nella Siria del 2010 con Xatar, al secolo Giwar Hajabi, che viene portato in un'affollata prigione e torturato perché riveli dove si trovi dell'oro rubato. Da lì vertiginosamente il regista inizia un lungo flashback che ci mostra i ricordi di infanzia del giovane, con il padre compositore e la madre vittime della rivoluzione iraniana del 1979, poi la sua nascita sotto le bombe nel Kurdistan dove si erano rifugiati: «il tuo nome sarà Giwar, nato dalla sofferenza», dice la madre. Infine finalmente la fuga a Parigi nel 1986, poi Bonn e la Germania dove la famiglia si ricrea una vita prima della separazione dei genitori. A quel punto Giwar, da piccolo criminale si trasforma in grande spacciatore, fino a quando non scompare un carico di droga. Per saldare i suoi debiti, Giwar progetta un leggendario furto d'oro a Stoccarda. In fuga per mezzo mondo, finirà in Siria da dove inizia il film.

«L'autobiografia racconta il regista che dedica il film al padre scomparso l'anno scorso è scritta in stile pulp, soprattutto nelle parti che hanno a che fare con la droga ma a me interessava di più raccontare il modo in cui i genitori sono scappati dall'Iran, che tipo di musica eseguiva suo padre, che tipo di scuola frequentava. Da questi interrogativi è nata la sceneggiatura. Poi, quando abbiamo realizzato il film, ho voluto sul set Xatar perché mi aiutasse anche in maniera pratica, consigliandomi la giusta marca di orologi o di scarpe che si portavano all'epoca».

Ad interpretare il rapper è stato chiamato Emilio Sakraya, anche lui tedesco, anche lui di diversa origine, in questo caso marocchina: «Ho trascorso molto tempo con Xatar racconta l'attore che lo scorso anno ha girato la serie Netflix Tribes of Europa ho potuto conoscerlo, imitarlo, studiare alcune cose specifiche. Ho dovuto mettere su peso, radermi i capelli e imparare a muovermi come lui. Nel film però non lo abbiamo certo esaltato, in questa storia l'arte salva la vita dato che lui si è accorto di aver preso la strada sbagliata e intenzionalmente cerca di non far parte più di quel mondo».

Anche il regista ha le idee chiare su ciò che si può e si deve raccontare al cinema: «Quando cercavamo i finanziamenti ho capito che c'era una certa resistenza perché raccontavamo proprio questa storia. Ma i criminali ci sono sempre stati e sono più vecchi del cinema o della musica gangsta rap.

Sono dell'idea che non siano le rappresentazioni di queste storie a portare a conseguenze negative. La musica rap fa parte di una tradizione orale che si perde nelle ballate della Mesopotamia. Non bisogna attaccare chi è il messaggero di certe problematiche ma i problemi stessi».

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