Quando nel 1909 Carolina Invernizio dette alle stampe Nina, la poliziotta dilettante, di certo non sospettava di avere inventato un genere, quello delle investigatrici per caso, ancora oggi di successo. Tenendo a modello le opere di Alexandre Dumas, Eugène Sue, Pierre Alexis Ponson du Terrail e Xavier de Montépin (i suoi autori preferiti), aveva già costruito feuilleton densi di avvenimenti criminali come Rina, o l'angelo delle Alpi (1877), Il bacio d'una morta (1886), Il delitto della contessa (1887), La sepolta viva (1896), La vendetta d'una pazza (1894), Il treno della morte (1905), Ij delit d'na bela fia (1889-90, in piemontese).
E ora, da Rina Edizioni, torna nelle librerie proprio Nina, la poliziotta dilettante, arricchito da una prefazione di Alessia Gazzola e da una postfazione di Silvio Raffo che inquadrano gli sviluppi di quest'opera che narra le peripezie della bella operaia Nina, accusata della morte del suo segreto innamorato, il conte Carlo Sveglia. Dopo essere stata interrogata e incarcerata per un mese, Nina e il suo amico Martino Vigna, anche lui indagato per l'omicidio, vengono liberati. Così la giovane deciderà di incastrare il vero assassino. Per farlo assumerà l'identità del cameriere Nanì e si farà assumere al servizio della zia del suo fidanzato, svolgendo la sua indagine all'interno di una famiglia che nasconde più di un segreto.
Questo feuilleton-noir è ricco di colpi di scena e sembra seguire il ritmo delle cronache dei primi del Novecento. «Tutto nei miei romanzi è semplice perché è vero» confessava la Invernizio, ammettendo che spesso c'erano nelle sue storie elementi personali: «nei miei scritti io racchiudo sempre un po' della mia anima, le mie impressioni liete e tristi, i miei momenti di gioia e di dolore, di riso e di lacrime». In oltre centotrenta romanzi, la Invernizio sostituisce ai giustizieri e ai superuomini di Sue, Dumas e Hugo le figure affascinanti di intrepide donne tutte cuore e coraggio che si impegnano a difendere il focolare domestico anche a costo di macchiarsi di orribili delitti ed efferatezze. L'autrice era anche consapevole che certe storie andavano scritte con ritmo e passione: «la difficoltà più grave sta nel prologo, che deve colpire subito il lettore, trascinarne l'interesse in modo che non gli riesca di lasciare il romanzo, finché non abbia veduto la fine». E, quanto ai temi della giustizia e dell'ingiustizia, era attenta a svilupparli con coerenza. Non a caso la sua Nina è una detective con una visione chiara della realtà, tanto da sapere che «i colpevoli finiscono per tradirsi quasi sempre con qualche imprudenza. Basta sorvegliarli attentamente, non perderli mai di vista, non dar loro ombra di sospetto».
Acutamente la scrittrice Alessia Gazzola, nella prefazione sottolinea come Nina sia il modello di tante investigatrici successive: «non stupisce che centoundicianni dopo Nina, la poliziotta dilettante il mercato editoriale pulluli ancora di poliziotte dilettanti. Penso alla mia Alice Allevi, ma mi vengono in mente la fioraia del Giambellino di Rosa Teruzzi, la prof. di Margherita Oggero, la ghostwriter di Alice Basso, la giornalista appassionata di balli sudamericani di Marilù Oliva, la giornalista di cronaca nera di Federica Fantozzi. Per tacere, naturalmente, di quelle che poliziotte lo sono di mestiere, come la Lolita Lobosco di Gabriella Genisi e la Vanina Guarrasi di Cristina Cassar Scalia, giusto per citare due tra le più amate».
Molti critici letterari hanno denigrato la Invernizio definendola un'«onesta gallina della letteratura popolare», «la Carolina di servizio» e persino «la Casalinga di Voghera» (dove nacque il
28 marzo 1851 - morì a Cuneo il 27 novembre 1916). Lei rispondeva con una frase memorabile: «Io ho dei critici una allegra vendetta. Che le mie appassionate lettrici e amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle».
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