Bellocchio riapre la ferita di Eluana: polemica a Venezia

Dagli attacchi al Pdl alle prese in giro contro "IlGiornale": la pellicola "Bella addormentata" porta al Lido il caso Englaro

Una scena del film "Bella addormentata"
Una scena del film "Bella addormentata"

A chi affida la speranza di vivere e l’amore per la vita in sé, Marco Bellocchio, che con Bella addormentata colpisce nel segno ancora una volta? A suo figlio Pier Giorgio, che qui incarna, con dispetto e rabbia da Pugni in tasca, un medico ex-tossico, pronto a dare tutto se stesso mentre recupera, fisicamente e moralmente, la povera Rossa (Maya Sansa, bravissima),stanca di ricoveri coatti e di disintossicazioni. Nella scena finale del film, orchestrato secondo struttura corale intorno a diversi episodi, Rossa sceglie di reprimere l’impulso a buttarsi dalla finestra dell’ospedale: il medico-crocerossino, Pallido di nome, dorme stremato dalla lunga veglia al capezzale di lei,che potrebbe farla finita in un amen. E invece no: Rossa lo guarda, gli sfila le scarpe che non le piacevano e si rimette a letto. L’amore per la vita e per quell’uomo testardo bussa alla porta del cuore: è ora di capire, di amare e farsi amare. Quel povero Cristo di dottore, che ha la stessa faccia inquieta di papà Bellocchio, fornisce la chiave di lettura essenziale d’un film complesso e ricco di contenuti: tanto vale vivere,provare a campare, insomma. Dunque, chi si aspettava un manifesto pro-eutanasia rimarrà deluso.

Uno dei più importanti autori italiani esistenti manda a dire che si muore, ma si risorge e che "senza Eluana che muore non ci sarebbe la Bella Addormentata che si risveglia… Ho le mie idee, ma il film non ne è il manifesto", afferma il regista. Sincero e per nulla ideologico, Bella addormentata ha molteplici punti di forza. Il primo è il cast: da Toni Servillo a Isabelle Huppert, da Alba Rohrwacher a Roberto Herlitzka, sfilano gli interpreti più bravi e in parte. Un po’ come nel dopoguerra – e, stando allo spread, nel dopoguerra ci stiamo -, i nostri artisti più talentuosi danno il meglio. E sì, c’entra la vera storia di Eluana Englaro e di suo padre, però intorno ad essa Bellocchio, autore di soggetto e sceneggiatura (con Veronica Raimo e Stefano Rulli) tesse una trama di altre storie, incentrate sulla famiglia e su che cosa essa è divenuta,oggi, abbandonata dallo Stato e dalla politica. La vicenda più articolata e meglio recitata è quella del senatore PdL Uliano Beffardi (Toni Servillo), dilacerato dal privato, che gli è diventato politico: deve votare la legge anti-eutanasia, ma ha appena staccato la spina a sua moglie, che lo implorava: "Amore mio, aiutami". Bella la scena in cui Beffardi (nomen omen) compie il gesto definitivo e poi stringe a sé la moglie esanime, proprio mentre la figlia Maria (Alba Rohrwacher) socchiude la porta dell’ospedale e coglie quel momento drammatico. La ragazza crederà che il padre ha soffocato la madre e diventerà fervente seguace del movimento anti-eutanasia, andando a pregare e a cantare con i seguaci del movimento a Udine, davanti alla clinica in cui Eluana è attaccata alle macchine. Anche qui, la serpe del dissenso politico s’insinua tra padre e figlia, ma l’amore che Maria proverà per Roberto (Michele Riondino), incontrato per caso e e come lei esulcerato da una triste vicenda familiare, le aprirà gli occhi, facendole vedere tutto in modo diverso. "Ho capito che non stavi soffocando mamma, la stavi abbracciando", spiega la giovane al padre.

Ovviamente, Bellocchio, da sempre collocato a sinistra, sulla graticola ci mette Silvio Berlusconi, ripreso in tivù mentre si esprime in merito alla vicenda Englaro. L’ex premier parla di Eluana come di una creatura viva, con il ciclo mestruale ancora funzionante e questo passo, in particolare, viene enucleato dal regista, per far fare a Berlusconi la peggior figura possibile: va da sé che, ai tempi, quella dichiarazione su Eluana fu più articolata di quanto non appaia. Come dire: il montaggio di Francesca Calvelli, moglie di Bellocchio, non è privo di pregiudizi, anzi. "Certo, non è un film imparziale", sostiene il regista. Tuttavia, si ha l’impressione che nel generale tono "alto" del film, si sia voluta dare una plebea strizzatina d’occhio ai compagni, ancora livorosi quando si cita Berlusconi. Anche i senatori del PdL fanno una pessima figura, come tutti i politici, del resto, contro i quali va gustata una tirata anticasta di Roberto Herlitzka, psichiatra a Montecitorio, sempre pronto a prescrivere Serenase e altro ancora ai frustrati peones del Parlamento… Spicca, tra molte, la scena in cui i senatori – proprio mentre alla camera si vota il decreto sull’eutanasia – restano a mollo nella vasca, tra vapori e luci di candela.

IlGiornale qui appare letto dal peggior fac-simile di Scilipoti, un ex-socialista basso ed entrista e poi viene ripreso a brandelli in casa di Divina Madre, alias Isabelle Huppert. Scelta tutt’altro che casuale, con effetto doppio attacco postumo a Berlusconi: se IlGiornale ha cavalcato il caso Englaro, lo ha fatto alla pari con altre testate nazionali. O no? Il partito preso, in questo caso, è lampante.

L’altro episodio interessante, che mischia il tema della famiglia sola di fronte ai gravi problemi dell’esistere e quello dell’amore, che vince ogni cosa. La Divina Madre è un’ex attrice bravissima, che ormai vive soltanto per la figlia in coma e, per assisterla, rifiuta il mondo: fa oscurare gli specchi ("Viale del tramonto?"), in casa prega e basta, legge Santa Teresa e intanto perde di vista il figlio Federico (Brenno Placido, figlio di Michele), allievo d’Arte Drammatica pronto a staccare la spina alla sorella in stato vegetativo. Meno male che suo padre (Gian Marco Tognazzi, figlio di Ugo) glielo impedisce. Occhio al fascino senza età della Huppert, splendida pazza con manie mistico-religiose (e quell’altarino in casa di Divina Madre viene paro paro dall’ossessione devozionale del regista).

L’episodio più fragile è proprio quello di Pallido e Rossa, ma che importa se gli è affidato il compito di farci capire che il risveglio alla vita è possibile? Il film va comunque visto, anche soltanto per ammirare la fotografia di Daniele Ciprì, che scolpisce i personaggi dolenti nel nero profondo alla Goya, dando al tutto quel tocco di teatro non immobile, che tanto somiglia alle nostre vite.

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