Venerdì 14 agosto sarà Herbert Blomstedt, 93 anni appena compiuti, a inaugurare il Festival di Lucerna dirigendone l'orchestra con Martha Argerich al pianoforte. Replica l'indomani benché sia sabato: giorno di riposo per chi - come lui - appartiene alla Chiesa Avventista del Settimo giorno, «suoniamo quel che si è già imparato, il che vuol dire che non proviamo ma eseguiamo direttamente: una benedizione per tutti noi», spiega lasciando intendere qualcosa della sua filosofia di vita.
Blomstedt è il più longevo dei direttori d'orchestra di serie A. In pieno lockdown, ha firmato un contratto discografico per incidere la Nona Sinfonia di Schubert con l'orchestra del Gewandhaus di Lipsia, il complesso di cui è direttore onorario e al quale non ha mai fatto mancare attenzioni nei mesi più bui della pandemia: da artista 4.0, integrava le esecuzioni in streaming con spiegazioni via Facebook, dal divano di casa. Ora con la sua consueta calma, raggiungerà il podio sfidando il covid. Del resto, è l'uomo che spense le 90 candeline durante un tour di 90 concerti, fra lanci di nuove emissioni discografiche e un libro biografico.
A Lucerna, in un programma dedicato alla Seconda Sinfonia e al Primo Concerto di Beethoven, l'orchestra sarà ristretta a soli 35 componenti che suoneranno distanziati. Blomstedt non mostra particolari preoccupazioni per la resa. «I musicisti dovranno ascoltarsi più del solito. Io stesso mi assicurerò di vedere al meglio Martha Argerich perché gli sguardi significano tanto in musica», osserva questo signore in cui pragmatismo scandinavo, della nativa Svezia, si salda con quello della patria d'adozione, gli Usa. Alla fine, dice, «ogni crisi porta con sé opportunità, può produrre miglioramenti. Dobbiamo trarre il meglio da quanto accaduto, lamentarsi e piangere non aiuta. Io ho sempre poco tempo per fare tutto quello che vorrei. Le montagne sono così alte che non si può mai davvero scalarle. Così ho profittato dell'isolamento per studiare le partiture che dirigerò nei prossimi mesi, ho avuto più tempo per pensare e per dormire passando dalle solite quattro alle sei o sette ore di sonno. Ho sempre fatto una passeggiata serale per tenermi in forma e studiato come se l'indomani avessi avuto una prova con l'orchestra», racconta Blomsted dall'alto dei suoi settant'anni di conduzione stabile dei complessi scandinavi, quindi delle città di Dresda, Lipsia e San Francisco, più le collaborazioni frequenti con i Wiener, i Berliner, e le orchestre americane di punta.
Il segreto di questa sua lunga vita? «Sono cresciuto praticamente in simbiosi con mio fratello, più grande di me di tre anni. Era medico e suonava molto bene il violoncello. Fino alla giovinezza abbiamo diviso la stessa stanza da letto, condiviso stessi stili di vita, eppure lui ha sofferto tante malattie, io invece no. Penso sia meglio condurre una vita nel rispetto del proprio corpo e anima, però poi vedi gente che ha avuto vite pazzesche, folli, eppure è stata bene ed ha vissuto a lungo. Churchill beveva molto whisky e fumava enormi sigari, e visse fino a 90 anni. Arrivo a una conclusone: essere in salute alla mia età è un regalo, punto. Un dono che apprezzo molto. Poi forse mi è stato d'aiuto amare la musica, io sono letteralmente innamorato della musica, mi comunica tanta vitalità. Nel momento in cui ascolto il suono di un'orchestra, sento che mi trasformo. Quando salgo sul podio e sono stanco o ho mal di testa, basta il primo suono a trasformarmi. Con la musica entro in un mondo magico. E non è questione di età, è sempre stato così. Non mi ha mai pesato il mio lavoro, anzi, non c'è mai stato un giorno in cui mi sia detto - No! Domani devo provare - Ho sempre gioito del fatto di poter lavorare con musicisti di valore. Anche pezzi suonati decine e decine di volte non smettono di sorprendermi». A distanza di 70 anni, il pensiero va spesso ai suoi due mentori d'eccezione con cui studiò in gioventù: Igor Markevitch e Leonard Bernstein. «Markevitch era nato per fare l'insegnante, era severo ed esigentissimo, aveva sempre in testa l'idea esatta e l'obiettivo chiaro da raggiungere. Bernstein aveva una personalità magnetica, che ispirava fortemente, versatile, estremamente colto. Era un po' il tipico americano, quindi un po' showman ma allo stesso tempo molto profondo. Era così: questa la sua natura, non imitava nessuno».
Invitato a una retrospettiva, Blomstedt dichiara che il pubblico è cresciuto qualitativamente. Così come le orchestre hanno raggiunto un livello tecnico più raffinato di un tempo, «l'ho potuto constatare nel corso della mia vita». Il che non vuol dire che siano migliori perché «se a contare fosse solo l'assenza di errori, cioè la tecnica perfetta, allora potremmo partecipare alle Olimpiadi o occuparci di informatica. L'avanzamento tecnico nella musica non è necessariamente parallelo a quello musicale. Il progresso tecnico può avvenire anche a discapito del senso musicale». E il direttore d'orchestra? Si è dovuto evolvere, «un direttore d'orchestra con una tecnica da Età della Pietra non può essere d'aiuto a un'orchestra dell'Età dei jet.
Capita che i direttori non abbiano la formazione tecnica adeguata per aiutare l'orchestra a dare il meglio di sé. Ma questo è solo un aspetto del lavoro del direttore d'orchestra. Oltre alla tecnica contano la sensibilità musicale e la fantasia».
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