"Blonde", il biopic su Marilyn è una favola nera dal kitch erotico

Un film paradossale che da un lato mette alla gogna l’abuso sistematico compiuto sulla Monroe e dall’altro lo attualizza sessualizzando una Ana De Armas mai così devota a un ruolo

"Blonde", il biopic su Marilyn è una favola nera dal kitch erotico

Blonde di Andrew Dominik, regista e scrittore neozelandese, è stato uno dei film più attesi alla scorsa Mostra del cinema di Venezia e, prodotto da Netflix, ha debuttato questa settimana direttamente in streaming sulla piattaforma.

L’opera, adattamento dell’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates, esplora la spaccatura tra identità pubblica e privata di una giovane donna che divenne l’icona del cinema che tutti conosciamo, Marilyn Monroe. Il dialogo tra la fragile e tormentata Norma Jeane e il personaggio con cui si impose sulla scena mondiale è il leit-motive di un film che appare didascalico e a tratti sconclusionato.

“Blonde” ci mostra non solo una giovane in fuga dal passato, da se stessa e dalla propria maschera, ma forse addirittura dalla vita. Consumata dal divario tra ciò che di lei è visibile e ciò che è invisibile, Norma Jeane vorrebbe solo trovare un rifugio in cui poter lasciar andare il personaggio di Marilyn, magari l’abbraccio di un uomo.
L’attrice protagonista ha indubbiamente un viso dalla forma diversa rispetto a quello della Monroe ma, complice la seduta quotidiana di tre ore di trucco e parrucco e un lavoro di preparazione con vocal coach e affini durato un anno, ad un certo punto davvero la mancata somiglianza tra le due viene meno. Le espressioni della Monroe vengono replicate pedissequamente dalla De Armas e la voce di quest’ultima arriva a emulare così tanto quella della defunta diva da imporre di guardare il film in lingua originale.

L’attrice colombiana dà tutto a livello di recitazione, anche e soprattutto nei momenti drammatici, mostrando grande rispetto e responsabilità di fronte alla non facile impresa di rendere giustizia a un mito. Per tale ragione è ancora più disturbante, da spettatori, avere la percezione che nel girare il film, tutto sommato, le sia accaduto qualcosa di simile a quanto vissuto da Marilyn: a colpire di “Blonde”, infatti, è soprattutto la sessualizzazione della sua attrice protagonista. Norma/Marilyn venne fagocitata ai suoi tempi da un sistema che, a giudicare dalle scene in cui in “Blonde” il kitch erotico ha il sopravvento sulla narrazione, paradossalmente viene denunciato da un regista che in realtà lo sta attualizzando.

Tra stelle del cielo che diventano spermatozoi, un aborto visto in soggettiva dall’embrione, orgasmi sottolineati dall’immagine della cascata del Niagara e così via, la caduta nel grottesco è servita.

A parte la discutibile scelta autoriale di abbracciare in toto il sopra le righe, anche dal punto di vista narrativo “Blonde” lascia molto a desiderare. Le tre ore di durata sono focalizzate non tanto sulla carriera di Marilyn ma sulle sue battaglie con fantasmi interiori. Vengono evocati e in parte analizzati l’infanzia traumatica, il rapporto disturbato con il maschile, l’assenza paterna e l’ambigua idea di maternità che contraddistinsero l’esistenza della Monroe.

Di ogni traguardo raggiunto si sottolinea l’immancabile amaro prezzo che costò a una creatura che fu sempre emotivamente esausta, prigioniera di un cortocircuito tra mancanza genitoriale e idea illusoria dell’amore. Questa è la Marilyn di “Blonde”. Un essere umano il cui profondo desiderio di essere apprezzato, amato e ammirato sarà di spinta al successo ma anche impossibile da soddisfare. Schiava di questioni irrisolte e traumi infantili, Norma/Marilyn nell’essere idolatrata dal pubblico avrà infatti un palliativo al dolore ma la voragine affettiva che la contraddistingue rimarrà sempre tale.

Anche l’adorazione dei fan le genera panico, perché è convinta che verrà meno quando scopriranno la distanza reale tra spensieratezza di Marilyn e il tormento di Norma Jeane. Il mancato riconoscimento da parte degli addetti ai lavori farà il resto nel generare ansie e consolidare insicurezze.

Malgrado i primi piani di Ana De Armas rendano bene il miscuglio di bellezza, dolcezza e tristezza che donava a Marilyn tanta intensità, l’essenza dell’indimenticabile diva è ridotta qui alla sommatoria delle sue disgrazie e dei conseguenti disagi psichici.

In definitiva “Blonde” è un biopic romanzato che, quando non punta sul lato oscuro della celebrità, indulge nella pura estetica, scegliendo di colpire con scelte visivamente deliranti.

Che al centro della scena siano riferimenti sessuali o mera dissezione del dolore, il risultato non cambia: da spettatori ci si sente complici passivi di un ritratto impietoso che a tratti rasenta la volgare necrofilia.

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