da Los Angeles
È una delle serie tv più amate dal pubblico. Homeland, caccia alla spia, che vede protagonista Claire Danes, sarà dal 9 marzo su Fox con la sua ottava stagione, l'ultima della serie. «Provo sentimenti contrastanti all'idea della fine - dice Claire Danes - ho iniziato che mi ero appena sposata e ora ho due figli. Come quella di Carrie, anche la mia vita in questo tempo è cambiata, sono cresciuta professionalmente con lei e mi mancherà. Sono però contenta del percorso che abbiamo fatto insieme e so che sarà difficile trovare in futuro un progetto del livello di Homeland, la cui qualità è indiscutibile. Carrie mi è entrata nel DNA, il suo patriottismo, la sua dedizione ora sono un po' anche le mie».
Ci sarà un ritorno in Medio Oriente, Afghanistan per la precisione, per l'agente della CIA Carrie Mathison che avevamo lasciato alla fine della settima stagione provata da un lungo periodo di prigionia nella Russia odierna, paese responsabile di importanti interferenze nelle funzioni del governo degli Stati Uniti. Colei che era considerata una delle migliori agenti della Cia ora però è sospettata di fare il doppio gioco. Ha trascorso più di 200 giorni in una prigione russa e il suo comportamento e la sua fedeltà potrebbero essere stati messi a rischio dal disturbo bipolare di cui soffre da sempre.
Quello che rende particolarmente interessante questa serie creata da Alex Gansa e Howard Gordon è la quasi perfetta descrizione del momento politico che l'America e il mondo stanno vivendo. «Nel corso del tempo la serie è diventata sempre di più un'immagine istantanea, quasi una polaroid, di ciò che stava accadendo spiega l'attrice che della serie è anche produttrice esecutiva - prima che gli sceneggiatori iniziassero a scrivere il copione, ad ogni nuova stagione, abbiamo sempre passato una settimana a Washington, a parlare con politici, con i giornalisti e gli insider. Erano immersioni rapide nelle stanze del potere, per cercare di capire quale sarebbero stati i temi rilevanti da trattare». Il racconto che ne è sempre seguito era in grado di anticipare gli accadimenti del mondo reale. «Mi sono sempre stupita di come gli autori fossero in grado di prevedere cosa sarebbe successo davvero. È come se a guidarci fosse stata una forza maggiore in grado di far rispecchiare il nostro racconto con la realtà politica e sociale del momento». Succederà anche quest'anno? «Non lo so, il futuro deve ancora compiersi, quello che posso dire è che la fine della serie lascerà davvero il pubblico senza fiato».
L'attrice spiega che, a farla decidere di accettare la parte, dieci anni fa, furono le difficoltà che Homeland presentava: «Amo lavorare a progetti che vanno un passo oltre il mio personale senso di sicurezza. Cercavo qualcosa che rappresentasse una sfida e quel qualcosa l'ho trovato in Homeland. Ed è stata una sfida che si è protratta nel tempo, di stagione in stagione infatti, i limiti sono stati spostati un po' più avanti». Claire non assomiglia a Carrie: «Lei è audace, concreta e piuttosto rude, io sono molto diversa. All'inizio interpretarla mi rendeva ansiosa ma poi ho imparato ad amarla e ho imparato molto da lei. È una persona afflitta da problemi ma anche molto brillante e la sua moralità è quello che più ammiro. In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, avere persone come Carrie come esempio è importante, e pazienza se si tratta un personaggio inventato, è comunque un modello ed è quello che rende questa donna così interessante».
In tutto questo tempo Claire Danes ha avuto modo di conoscere meglio il lavoro della CIA, che descrive così: «Quello che più colpisce è il patriottismo delle persone che ci lavorano.
Poi certo, sono esseri umani, professionisti in grado di portare a termine operazioni difficili oppure fallire, come tutti noi, ma credo che la ragione del successo di Homeland risieda anche nel fatto di aver dato modo al pubblico di conoscere meglio queste professionisti, che danno così tanto di loro per il loro paese».
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