Cari conservatori ora sui temi culturali siate "progressisti"

A Roma la National Conservatism Conference del 4 febbraio tratterà di «Dio, onore, nazione»

Cari conservatori ora sui temi culturali siate "progressisti"

Da quando siamo nati, sentiamo affermare che l'Italia è un Paese dalla larga maggioranza conservatrice. Probabile sia vero. Per questo c'è da rimanere di stucco quando si osserva non solo il mondo della cultura, ma in generale le idee che vanno per la maggiore nei media di massa. Viene da riformulare il luogo comune. L'Italia sarà anche un Paese dalla larga maggioranza conservatrice, ma i conservatori, politici e non, hanno perso clamorosamente la battaglia delle idee. Inutile tirare in ballo il vecchio alibi dell'egemonia culturale della sinistra, una realtà ampiamente superata dai fatti. Non solo perché la sinistra ha rinunciato a parlare di lavoro, e si è accucciata al tavolo dei peggiori imprenditori, quelli specializzati nel succhiare soldi allo Stato e nel fondare la propria fortuna nel mettersi al riparo dalla concorrenza grazie all'amicizia (chiamiamola così) con la politica. Non è solo questo, dicevamo. Basta non essere rinchiusi nelle bolle dell'editoria, dei festival, dei premi italiani per capire dove la famosa egemonia abbia condotto la cultura di sinistra, e con essa quella italiana: alla completa irrilevanza. Non c'è dibattito internazionale in cui una singola idea o un contributo di qualche peso provenga dal nostro Paese. L'Italia riesce a essere di retroguardia perfino nel settore che predilige, il politicamente corretto, un fenomeno da campus americano degli anni Novanta.

Dunque la destra può vincere anche solo per mancanza totale di concorrenza. La sinistra si limita a lodare l'esistente laddove avrebbe la tradizione giusta per contestare duramente l'andazzo: globalizzazione, compressione dei salari, riduzione del welfare, schiavismo di ritorno. Niente. Come capì prima di ogni altro Augusto del Noce, la sinistra si è trasformata in un partito radicale di massa. Peccato che un partito radicale sia già esistito e dunque non ne occorra uno nuovo (si fa per dire).

Per vincere la battaglia delle idee i conservatori devono fare qualche passo deciso. Il primo è conoscersi e farsi conoscere. Il secondo è fondare l'attivismo e la divulgazione culturale su una solida base di studio non necessariamente accademico, ma che vada oltre la sciatteria della saggistica attuale. Il terzo sarebbe convincere la politica d'area che la cultura è utile. Nessuna riforma può avere successo se non si è in grado di spiegare ai cittadini perché le riforme di stampo liberale e conservatore sono assolutamente necessarie in un Paese imbalsamato come il nostro. Purtroppo, su quest'ultimo punto non ci facciamo illusioni. Il variegato mondo del centrodestra vive nel totale disinteresse per la cultura, che usa semplicemente come merce di scambio per avere crediti da spendere altrove. Vedete un intellettuale di destra a capo di un qualsiasi ente o istituzione pubblica? Appunto, non lo vedete perché non c'è.

Per il resto qualcosa si muove. Martedì 4 febbraio al Grand Hotel Plaza in Via del Corso 126 a Roma, si terrà la «National Conservatism Conference», un importante evento che segue la conferenza organizzata (www.nationalconservatism.org) a Washington lo scorso luglio alla presenza dei più importanti politici, intellettuali, giornalisti americani, tra i quali John Bolton, Tucker Carlson, Peter Thiel.

L'evento, ideato dalla Edmund Burke Foundation (Stati Uniti), arriva in Europa per la seconda edizione che si terrà a Roma e ha come partner italiano il movimento di idee Nazione Futura, presieduto da Francesco Giubilei che sarà anche uno dei pochi italiani a intervenire, insieme a Marco Gervasoni e Maria Giovanna Maglie. Le altre realtà promotrici sono Bow Group (Regno Unito), Danube Institute (Ungheria), Guerini e Associati (Italia), International Reagan Thatcher Society (Stati Uniti), The Herzl Institute (Israele).

Tra i partecipanti, ci sarà il primo ministro ungherese Viktor Orbán, il presidente del gruppo ECR al Parlamento Europeo Ryszard Legutko, la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, Marion Maréchal, l'intellettuale conservatore inglese Douglas Murray, il leader della Lega Matteo Salvini, il presidente dell'American Enterprise Institute e già stretto collaboratore di Reagan, Christopher DeMuth, l'autore del caso editoriale Le virtù del nazionalismo Yoram Hazony, l'ambasciatore Anna Maria Anders.

Il titolo della conferenza sarà «Dio, onore, nazione: il presidente Ronald Reagan, papa Giovanni Paolo II e la libertà delle nazioni». Tra gli argomenti di discussione, il famigerato sovranismo. L'ascesa del nazionalismo in Europa, negli Stati Uniti e in tutto il mondo democratico, è vista da molti come una minaccia all'ordine liberale postbellico. Ma altri considerano la rinnovata enfasi sul patriottismo e la libertà delle nazioni come una continuazione delle migliori tradizioni politiche del secolo scorso. Quindi il nuovo conservatorismo nazionale è una minaccia o una virtù? Una virtù. Almeno a parere di Yoram Hazony, autore del libro più discusso a livello internazionale nel 2019: Le virtù del nazionalismo (Guerini e associati).

Nel centenario della nascita di Giovanni Paolo II, sarà ricordato il suo ruolo decisivo nella sconfitta del comunismo e nella rinascita dell'indipendenza nazionale e della libertà religiosa nell'Europa orientale dopo il 1989. E, quasi al termine del primo mandato di Donald Trump, si ripercorreranno i passi della storia di Ronald Reagan, per molti versi anticipatore della attuale presidenza Usa, forte di uno straordinario successo economico.

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