Dal nostro inviato a Verona
Cielo grigio su, Celentano giù. Giù il volume delle teleprediche, delle lezioni improvvisate di economia politica da «re degli ignoranti ». La seconda parte del concerto- evento all’Arena perde le interminabili disquisizioni del professor Jean-Paul Fitoussi ma acquista uno dei monologhi del Molleggiato. «I tempi sono maturi per ribaltare questo nostro apatico stile di vita», proclama.
Una telepredica ecologista sull’utopia della bellezza a metà concerto, uno spettacolo fino a quel momento memorabile. «La parola magica è lo scatto, anche uno scattino, uno scatto di rabbia, una scintilla che potrebbe scatenare una rivoluzione», proclama Celentano. «Potrebbe essere utopistico, ma nelle pieghe dell’utopia si può sconfiggere la crisi. È assurdo pensare che il casino sia tutto riconducibile alle meschine questioni economiche». «Dino hai capito cosa stiamo dicendo? » dice il Molleggiato a uno dei suoi storici collaboratori della via Gluck chiamato sul palco. «Sì». «Cos’hai capito?». «Che siamo spenti ».
E Celentano vuole accendere con il suo sermone. «Se ci fermiamo a riflettere non ci vuol niente a capire che il senso della vita ci sfugge, a loro in alto che hanno avuto lo sconto del 99 per cento sul biglietto e a questi in platea che hanno venduto la casa per comprare un biglietto. Per quanto staremo assieme? Finita la serata torneremo a essere soli a casa nostra in attesa che un altro evento ci raduni. Questo non è stare assieme. Stare insieme significa essere legati da qualcosa che ci tiene uniti anche quando siamo soli. Ma questo qualcosa non ce l’abbiamo, forse in passato, ma sta tornando, sarà l’aria di Verona, il filo sottile che ci unisce in un unico ideale, un unico progetto».
E qual è questo ideale? «Sei tu» urla la gente. «Esagerati. Il primo è l’amore ma subito dopo viene la bellezza del proprio habitat. Il vero appartamento dove vivere bene non è in casa ma fuori». Chi ci aiuterà? «Credo che ci aiuteranno i ricchi come Del Vecchio degli occhiali, Prada, Benetton, quelli della Fiat e anche l’editore che manda in onda questa trasmissione ( si riferisce ovviamente a Berlusconi)... Entro cento anni metteranno a posto l’Italia».
Per il resto, largo alla musica, un concerto forse anche più bello di quello di lunedì, quando Celentano è sembrato più preoccupato di legare le canzoni con il filo conduttore obbligato della decrescita, della guerra allo spread, della denuncia delle storture finanziarie. Anche ieri ha aperto con una canzone a suo modo di denuncia: lunedì aveva scelto Svalutation , ieri sera Il mondo in mi settima con tutto il pubblico a cantare «stiamo arrivando sulla luna mentre qui c’è la fame, ahi ahi ahi».
Il Molleggiato è parso più libero, anche di sbagliare, di correggersi e prendersi in giro. Ha perso il filo già alla seconda canzone, Soli , un suo cavallo di battaglia, e poi ancora e ancora. Ha duettato e scherzato dopo il sermone ecopolitico con Gianni Morandi sulla pedanteria di Fitoussi e sui ripetuti vuoti di memoria della prima sera. Morandi vorrebbe parlare di economia ma Celentano gli chiede di cantare da solo. È una struggente Caruso dedicata a Lucio Dalla, acclamato dall’Arena in piedi. «Lassù è felice- dice Celentano- si fa di quei concerti che noi ce li sogniamo ».
La seconda puntata della telepredica del milionario contadino parte in ritardo e il pubblico fa la «ola»mentre aspetta che su Canale 5 finisca la pubblicità. La solita pantera nera dagli occhi gialli, le immagini di Verona, la registrazione delle letture di Latouche e Rifkin su uguaglianza, il carattere democratico delle istituzioni, la decrescita.
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