Qualcuno conserva ancora memoria delle filippiche partorite dal variopinto circo di Serena Dandini o dallo stuolo di autori televisivi e comici che imperversarono nel ventennio berlusconiano? Assolutamente no! Di quel mondo, che mai si è contraddistinto per un eccelso livello di comicità e di satira, restano solo gli insulti pesanti, le tirate moralistiche, l'identificazione del nemico comune da oltraggiare. Questo perché a sinistra, storicamente, non hanno mai avuto il dono della leggerezza e dell'autoironia. La satira sprezzante di un Flaiano o di un Longanesi fu chirurgica e feroce ma sempre agiva su una base di sulfureo anarchismo che ne alleggeriva la virulenza. Da quelle parti, invece, la tirannide del pensiero unico comprime i linguaggi, obbligandoli a perdere il gusto della battuta per la battuta e una certa giovanilistica goliardia.
Sta però nascendo una nuova generazione di funamboli della risata che tenta di mantenere integra questa leggerezza ed è soprattutto spuria da moralismi di sorta. Alessio Di Mauro, già disegnatore satirico su L'Italia Settimanale di Veneziani e collaboratore di vari quotidiani, con una raccolta di vignette (Banzai, Historica edizioni, pagg. 300) ripercorre gli ultimi dieci anni della vita pubblica del nostro Paese. Sulla scia di Forattini e di un maestro come Alfio Krancic, compie «un viaggio iconografico in un decennio di autentica follia», ma con una posa che non ha niente del livore che contraddistingue, per esempio, un Vauro Senesi. Vale a dire, rifuggendo dalla ostentazione di uno strabico cinismo che rasenta la violenza verbale e sempre convoglia il risentimento in una sola direzione.
In un circuito comunicativo talmente interrelato dove tutti siamo cantori di questa enorme lagna del politicamente corretto il minimo che si possa fare è quello di non alimentare il fuoco ed evitare di essere coautori del disastro prossimo venturo. Il politicamente corretto avvolge e vela ogni ambito del quotidiano. Non è una semplice postura intellettuale, una moda del momento, una stramberia partorita dalle parti di Hollywood e rimbalzata progressivamente in tutto il pianeta ma una costruzione ideologica che si insinua da decenni nelle scuole, nei parlamenti e in ogni ambito in cui si eserciti la discussione pubblica e che fa oramai presa sull'immaginario collettivo determinandone i percorsi.
Il conformismo oramai è elevato a sistema e qualunque ambito, sociale, lavorativo o sentimentale si intrecci con esso ne viene modificato e piegato. È azione pedagogica che mira a convogliare le pulsioni dei cittadini all'interno di quella grande impostura che si vela dietro i concetti di libertà, tolleranza e diritti. Perché, in fondo, l'idea è sempre quella: un popolo da civilizzare, anzi dei barbari da rendere edotti e quindi da sedare.
E allora chi ancora cerca le manifestazioni più evidenti e tangibili di questa moderna ideologia non deve scavare in polverosi manuali filosofici. Le può trovare sotto i suoi occhi e proprio la satira può essere un utile chiavistello per interpretarne i viluppi. Chi rischia di più in tutto questo è, infatti, chi disegna fumetti, chi utilizza il registro dell'ironia o, per mestiere, si prende burla dei potenti. E fa paura perché rappresenta una delle ultime ridotte in cui sia possibile esercitare il pensiero libero. Uno spazio dove il cittadino non si assopisce dinnanzi ai teologi del buonismo e della ortodossia e, anzi, li può biasimare se non stroncare in ogni loro rappresentazione ma senza prendere parte in causa. Ma questo elemento di alterità non piace ai difensori della guerra civile permanente dal momento che, essendo il fronte progressista incatenato a certezze apodittiche, chi non si allinea deve passare sotto la loro mannaia.
Ne sa qualcosa Federico Palmaroli (Le più belle frasi di Osho) la cui recente polemica con Andrea Scansi è paradigmatica e, sul tema, svela molto. Sottoposto ad un fuoco di fila da parte del Martin Heidegger dei grillini, ha dovuto parare i colpi sia del Maestro che dei suoi ossequiosi discepoli, al fine di proteggere il suo operato da affermazioni senza senso: «propaganda para-fascista», «Null'altro che Istituto Luce 2.0» e «frasi del fasho».
Ciò accade perché anche nel linguaggio umoristico e satirico il conformismo lessicale impone di camuffare definizioni e termini per il timore di offendere una categoria, una etnia, un popolo. Ma se molti sono sedotti da questo magma moralistico, taluni se ne tirano fuori, seppur consapevoli del fatto di poter essere un attimo dopo - confinati nell'affollato girone dei reietti. E ciò non è cosa di poco conto.
Grazie a questo approccio deterministico simili accuse hanno una ricaduta immediata nell'opinione pubblica perché mettendo all'angolo l'interlocutore, di volta in volta definito razzista, intollerante, fascista, omofobo, qualunquista, lo si costringerà a smorzare i toni o ad abbandonare il campo, nel tentativo chiaro di marcare questo avvertimento: chiunque esprima una opinione divergente, anche attraverso un sorriso o una crassa risata, deve essere messo all'indice e segnalato al pubblico ludibrio.
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