“Elvis”, l’uomo dietro l’icona in un biopic galvanizzante

Il nuovo film di Baz Luhrmann ha la stessa impetuosità ispirata e travolgente della star di cui racconta e deve molto all’interprete protagonista, un Austin Butler in stato di grazia

“Elvis”, l’uomo dietro l’icona in un biopic galvanizzante

Elvis, il biopic su Elvis Presley presentato in anteprima mondiale alla scorsa edizione del Festival di Cannes, è nei cinema pronto a far vibrare col suo ricchissimo spettacolo visivo e sonoro.

Il film con protagonista Austin Butler è infatti un’opera che per due ore e mezza vede in scena soprattutto l’estro registico di Baz Luhrmann, già artefice di cult come “Romeo+Giulietta”, “Moulin Rouge” e “Il grande Gatsby”.

La narrazione sposa il punto di vista inaffidabile del viscido colonnello Parker (Tom Hanks), vale a dire il manager di Elvis, e segue la parabola esistenziale dell’artista, dalle umili origini a Memphis al successo planetario fino alla prematura scomparsa, mentre sullo sfondo si delinea il divenire dell’America del tempo.

A resuscitare il Re del rock è Austin Butler, che lo impersona alla perfezione: somigliante davvero ad Elvis, il giovane ne evoca in maniera impressionante voce e movenze, mettendo anima e corpo in un’interpretazione che ipoteca una nomination agli Oscar. Quanto a Tom Hanks, l’attore è efficace nella parte dell’imbonitore con il vizio del gioco d’azzardo che non rinuncerà mai alla sua gallina dalle uova d’oro. Fintosi una sorta di secondo padre, il suo personaggio avrà la fiducia di Elvis e ne farà il suo burattino.

Scintillante e pirotecnico, “Elvis” ha un montaggio frenetico e sequenze dal sapore circense. Lo stile è roboante, le esibizioni un tripudio di lustrini e paillettes, ma c’è anche la visione malinconica di quanto si nasconda dietro lo splendore.

Posseduto dal sacro fuoco della musica fin da ragazzino, dopo l’incontro estatico con quello che sarà il suo principio divino durante una messa gospel, Elvis cresce e diventa una celebrità in grado di generare isteria di massa. Quando sul palco si lascia prendere dalla sua passione vitale per la musica, il ragazzo la traduce in sincopati e conturbanti ancheggiamenti che se da un lato accendono di desiderio il pubblico femminile, dall’altro scandalizzano l’America puritana di quegli anni. Etichettate dai benpensanti e conservatori come degenerate, le esibizioni di Elvis divengono bersaglio di vere campagne denigratorie. L’imperativo è sedare tutto quanto rischi di offendere il perbenismo conformista del tempo, anche a costo di arrestare il giovane performer per turbativa dell’ordine pubblico.

Il regista si prende tutto il tempo per mostrare come il contesto in cui il protagonista dà sfogo alla propria vocazione sia anche teatro di repressione sessuale, razzismo e violenza (sullo sfondo ci sono gli omicidi di MLK e Bobby Kennedy), lasciando intendere assonanze tra l’America di allora e quella attuale.

Ma non c’è solo lo scontro con la morale dell’epoca. Forse proprio perché Elvis sembra conservare la purezza d’animo di quando da bambino giocava tra le baracche sognando di diventare un supereroe, il suo successo finisce per avere il carissimo prezzo di una carcerazione dorata dei cui profitti godrà una corte parassitaria. Sugli sgargianti e luccicanti palcoscenici di Las Vegas lo vediamo dare tutto se stesso, pur appesantito e affaticato dall’abuso di farmaci, prossimo a una fine che lo consacrerà mito immortale.

Il film non tace sul debito che Elvis ebbe nei confronti della cultura nera: l’accento “lascivo” di un certo blues incontrato da bambino fu alla base del tripudio di sensualità che l’uomo incarnò poi da adulto. Il talento straripante in lui diventa superpotere, la musica una vibrazione magica che percorre il corpo, l’energia sprigionata sul palco un momento di condivisione autentica d’amore col pubblico.

L’impianto del racconto è classico nel seguire l’ordine cronologico degli eventi, l’estetica kitsch è valorizzata nella sua essenza senza alcun timore. Indubbio che la colonna sonora sia essenza stessa della narrazione e motivo di fascino, peccato non venga indagato il processo creativo a monte di tanti brani immortali che qui vengono ora cantati da Butler, ora proposti in versione originale, infine mischiati a pezzi attuali.

“Elvis” non è solo un omaggio rispettoso all’uomo che cambiò la storia della musica, il

primo in quell’ambito a subire il contraccolpo di una fama mondiale, ma è anche una riflessione sul prezzo del successo ed il film che ci restituisce un grande regista, a nove anni dalla sua ultima opera.

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