Al cinema “Memory”: Liam Neeson alle prese con un tormento interiore

Action-thriller facilmente dimenticabile nonostante tocchi temi come l’Alzheimer e la prostituzione minorile, ma con un Liam Neeson che regala carisma alla vulnerabilità

Al cinema “Memory”: Liam Neeson alle prese con un tormento interiore

Memory, appena uscito al cinema, è il remake del film belga del 2003 “La memoria di un assassino” di Erik Van Looy (tratto da un romanzo di Jef Geeraerts) ed è il classico film con protagonista Liam Neeson, anche se stavolta l’attore, prossimo ai settanta, si trova alle prese con meno action e più tormento interiore.

lex Lewis (Liam Neeson) è un sicario che vive a El Paso, in Texas. Dovendo fare i conti con una memoria sempre più vacillante, intuisce di andare incontro allo stesso destino del fratello, rinchiuso in una clinica perché malato di Alzheimer. Decide allora di ritirarsi, ma non prima di aver accettato un incarico finale da un vecchio contatto. Quando Alex si rifiuta di completare il lavoro, ovvero di uccidere un'immigrata tredicenne di nome Beatriz (Mia Sanchez), si ritrova ad essere un bersaglio. Sebbene in fuga, individuata una scia di abusi legata ad un giro di prostituzione minorile, l’uomo decide di aiutare Vincent Serra (Guy Pearce), un agente dell’FBI, guidandolo a capire come questi abomini siano riconducibili a una potentissima personalità locale (Monica Bellucci) e a suo figlio (Josh Taylor). Per arrivare alla verità saranno importanti i dettagli, proprio quelli che la mente di Alex non è più in grado di ricordare.

Ogni volta che Liam Neeson è al centro di un action-thriller cambiano le variabili di contorno ma mai la sostanza, difficile quindi che i fan dell’attore vengano delusi o stupiti dalla visione di “Memory”. A questo giro due uomini sofferenti per differenti motivi, un sicario e un agente dell’FBI, instaurano una qualche collaborazione per porre fine ad un'agghiacciante “fiera della pedofilia”. La presenza di Guy Pierce rimanda continuamente al capostipite dei thriller basati sulla memoria, “Memento”, di cui l’attore fu protagonista ventidue anni fa.

Se “Memory” ha un vero pregio è quello di evitare la divisione manichea tra buoni e cattivi. Per una volta il confine tra i due schieramenti è molto sfumato. Il vero villain del film non è tanto il personaggio col volto della Bellucci, quanto la malattia degenerativa di cui soffre il protagonista. Peccato che la progressione debilitante verso la demenza al centro del film non sia mai esplorata davvero, restando mero espediente narrativo atto a complicare una vicenda altrimenti prevedibile.

Neeson non interpreta solo lo spietato assassino che ha un suo codice morale, ma un individuo impaurito e disorientato. Il suo è un uomo capace di cauterizzarsi una ferita da proiettile con una bottiglia di liquore e un accendino, così come di uccidere persone a bruciapelo, ma che diventa via via una figura prigioniera di sofferenza, vergogna e rimpianto. Questi tre padroni si alternano sul volto di Neeson, che ha quindi occasione di sfoggiare il proprio carisma attoriale almeno in alcune scene.

Del resto “Memory”, pur avendo combattimenti e sparatorie, non è un film devoto solo allo scontro fisico: il focus è su decisioni rischiose, sui limiti della giustizia e sui bilanci esistenziali.

Il regista, Martin Campbell, pur essendo autore di due dei più memorabili film di Bond (“Goldeneye” e “Casino royale”), in questo caso dà alle sale un film che non sviluppa appieno il proprio potenziale.

“Memory”, al netto dell’angoscia mista a tenerezza suscitate dal protagonista, resta un film senza guizzi, girato in parte col pilota automatico, e che sembra uscito dal cesto dei titoli anni ’80 e ’90.

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