Non a caso il nuovo disco di Coez si intitola Volare. Lui spiega che «Volare è una parola evocativa che viene usata per definire situazioni le più distanti tra loro come il divertimento, l'entusiasmo, la morte». In questo caso è la definizione di uno stile musicale capace di spaziare, essere spesso all'opposto, danzare tra rap e canzone d'amore pur restando sempre riconoscibile.
E difatti questo trentottenne nato a Nocera Inferiore ma cresciuto a Roma, vero nome Silvano Albanese, è uno dei talenti più liberi della musica italiana. Ha fatto quella cosa ormai non più ritenuta fondamentale, ossia la gavetta, prima con i Brokenspeakers e poi da solista, pubblicando brani e dischi benedetti dalla nicchia ma mai dal grande pubblico. Poi la svolta.
Il quinto singolo, dicesi quinto, del disco Faccio un casino, va al primo posto in classifica grazie a un testo vincente («Ho una scuola di danza nello stomaco» è uno dei versi più efficaci dell'ultimo decennio) e un titolo che rende bene l'idea della situazione globale: La musica non c'è.
In questa fase sempre più concentrata sul successo immediato, sulla mangiatoia volatile dello streaming, Coez è una eccezione perché dice cose che raramente ormai si sentono. Tipo: «Il mio obiettivo è sempre creare un suono nuovo». Dopotutto basta parlargli per rendersi conto che è proprio così, spontaneo e smarrito, sincero ed ispirato, del tutto lontano dalle malizie strategiche di tanti colleghi: «Sono un privilegiato perché tutti i successi che ho avuto sono arrivati senza che me li aspettassi». Fosse solo per questo, meriterebbe un Grammy alla passione. «Secondo me, uno deve incidere i dischi che vuole, non seguire ciò che vogliono altri». Chapeau.
In questo disco è riuscito a fare ciò che vuole anche «grazie al lockdown che mi ha consentito di trascorrere tanto tempo in studio, circa 200 giorni, a curare i dettagli». Missione compiuta.
Volare è un gran bel disco, e sia detto senza retorica. Un disco da ascoltare canzone dopo canzone, godendo di quel «ritorno al passato» (Coez dixit) che si trova tra le canzoni, tutte in bilico tra un rap molto personale, quasi snaturato dalla sensibilità dell'autore, e una canzone d'autore che trasuda malinconia anche quando è ben nascosta tra versi positivi. «Però non sono mai stato così potente in tutta la mia carriera», spiega.
E difatti l'apertura Wu-Tang è quasi rock e, nel complesso, questo album è «una sorta di ritorno al passato, e non so bene per quale motivo. Forse avevo bisogno di recuperare la mia parte più dark». Senza dubbio, se c'è qualcuno che resterà nella memoria nei prossimi anni è proprio Coez, se non altro perché è immediatamente riconoscibile. «Ho attraversato una fase rap ma è con la poesia che mi sento sempre a casa». E questo gli consente di avere ospiti come Neffa, Guè Pequeno e Gemitaiz, Noyz Narcos, Salmo e Massimo Pericolo. Ma anche di poter infilare un sample di Mio fratello è figlio unico di Rino Gaetano nel brano Fra le nuvole. «Sento vicinissimo Rino Gaetano e mi immagino che anche lui oggi si confronterebbe con la musica di questo tempo». Ma forse non con la frenesia di fare (e annunciare) grandi numeri.
E così fa Coez, che, nonostante il successo, dal 31 gennaio tornerà a fare concerti nei piccoli club come l'Hiroshima Mon Amour di Torino o il Demodè o il Planet di Roma. «Sento che sia giusto fare così per questo mio nuovo disco». Sembrano parole del passato e invece no: sono le parole di un artista.
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