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Cogito, ergo non consumo carne...

Torna l'elogio del vegetarianesimo del filosofo greco Porfirio

Cogito, ergo non consumo carne...

«Che abominevoli furfanti! Mi viene quasi da svenire. Mi caveranno gli occhi! Mi taglieranno il collo! Sarò arrostita e mangiata! Questi scellerati non hanno proprio alcun rimorso?». La pollastra in dialogo con il cappone nell'omonimo Dialogo di Voltaire è una delle illustri professioni di vegetarianesimo - o quasi - della storia. Proprio come quella di Rousseau il quale, pur non rinunciando al bollito di bue e vitello, all'affettato di maiale o alla trota raccontava Boswell predicava, nell'Emilio, che gli animali dovessero far parte del diritto naturale. Oltre a Isaac Singer («Sono vegetariano per ragioni di salute: quella del pollo»), Shelley, Leonardo da Vinci, Mark Twain, Kafka, Guido Keller, Milan Kundera, Einstein ma anche Adolf Hitler, che parlava di «forza ecologica» un illustre vegetariano fu Lev Tolstoj, autore de Il primo gradino, in cui descriveva una visita al macello di Tula, tra sangue, convulsioni e urla raccapriccianti. Tolstoj scriveva «La virtù non si accorda con la bistecca»: frase che sarebbe piaciuta a Porfirio, filosofo del III secolo d.C., autore del De absitentia e del quale ora torna Perché non mangiare gli animali (Bompiani).

Originario della Fenicia e allievo di Plotino, Porfirio non è il primo vegetariano né il primo animalista della storia: da Empedocle allo stesso Plotino, da Teofrasto a Plutarco fino a Pitagora, che, passando vicino ad un cagnolino maltrattato disse di smetterla di picchiarlo, «perché è certamente l'anima di un mio amico» e che, secondo Ovidio, si scagliava contro la bramosia degli uomini a «rimpinguare il loro corpo ingordo rimpinzandolo con un altro corpo», sono molti gli scrittori o i filosofi vegetariani o che Porfirio cita comunque a suo favore. Il vegetarianismo di Porfirio, oltre ad essere diretto a «non fare del male agli animali», è senza dubbio elitario: secondo l'autore, infatti, solo gli eletti non devono mangiare la carne, mentre «chi dorme», le «moltitudini incalcolabili dei Trogloditi», può continuare a perseguire il proprio immorale stile di vita. La scelta vegetariana, infatti, è condizione essenziale per il distacco dal corpo e dalla materia, e la rinuncia alla carne si accompagna ad un'ostinata astinenza dai piaceri erotici. Secondo Porfirio, che per la sua intransigenza arrivò sull'orlo del suicidio, la «sofferenza per la privazione è minore di quella che si prova per gli eccessi» e «bisogna nutrire l'intelletto, non il corpo».

E oltre a vagheggiare, sulla scia di Licurgo, una sorta di comunismo alimentare, con l'istituzione di mense che non creassero invidie sociali, arrivò a scrivere che l'alimentazione priva di carne «libera da un'Iliade di mali». Perché, diceva Diogene, «non è da chi mangia pane e orzo che vengono fuori i ladri e gli uomini inclini a battaglie, ma da chi mangia carne arrivano i sicofanti e i tiranni».

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