Parag Khanna viaggia, studia, analizza, poi delinea scenari. Nato in India 39 anni fa, esperto di geopolitica, Senior Research Fellow al Centre on Asia Globalisation di Singapore, ha iniziato a tracciare la sua «nuova mappa del mondo globale» in I tre imperi e Come si governa il mondo. Ora parla di connettività. Cioè il fenomeno alla base della geografia del XXI secolo, la Connectography che dà il titolo al suo nuovo saggio (pubblicato da Fazi come i precedenti), di cui discute oggi a Milano, in occasione di Bookcity, con l'ex ministro Giulio Tremonti (Borsa italiana, ore 13).
Che cos'è la connettività?
«La connettività si basa sulle infrastrutture. I generi principali di infrastrutture sono i trasporti, l'energia e le comunicazioni».
Perché dovremmo parlare di Connectography, «connettografia» anziché di geografia?
«Perché la geografia ci dice solo della natura. E la maggior parte delle mappe riguardano la geografia politica, stati e confini. Invece abbiamo bisogno di mappe di geografia funzionale, ovvero della nostra connettività infrastrutturale. La quantità di strade e ferrovie, oleodotti e reti elettriche, e i cavi di Internet che connettono tutti quanti noi e le nostre città, attraverso i confini, è molto più voluminosa e importante di tutti i confini del pianeta. Dobbiamo mappare questa relazione fra connettività e geografia: ecco perché la Connectography».
Se oggi, come sostiene, l'influenza di un Paese si misura in connettività, quali sono i paesi più influenti?
«Ce ne sono di grandi e di piccoli. Ci sono gli Stati Uniti, la Cina e la Germania, ma anche la Norvegia, gli Emirati Arabi Uniti e Singapore. Essere connessi ai propri vicini e alle proprie aree e influenzarle è altrettanto, o anche più importante che essere grandi e basta. La Russia è un grande Paese, ma è molto disconnesso dal resto del mondo, a parte che per il petrolio e il gas, e infatti è molto meno potente di quanto la maggior parte delle persone pensi».
La connettività è più forte della politica e delle ideologie?
«La connettività non è più forte di politica e ideologie: è essa stessa una forza, che cambia la natura della politica. Oggi la politica riguarda, in un certo senso, come uno si sente a proposito della connettività. E così è per l'ideologia».
Perché parla di «Rinascimento globale»?
«Credo che la connettività renda possibile la diffusione della cultura umanistica, come nel Rinascimento. Più le persone sono connesse le une alle altre, più abbiamo una conversazione globale».
È un ottimista fra tante voci negative. Come mai?
«Sono ottimista perché sono un utilitarista. La maggior parte della popolazione mondiale ha ottenuto vantaggi immensi dalla globalizzazione. Ben pochi non ne hanno beneficiato: in realtà lo hanno fatto ma, semplicemente, non se ne rendono conto».
Sono più gli aspetti positivi di quelli negativi?
«Sono più interessato al commercio e alle supply chain, le filiere che elevano milioni di persone al di fuori della povertà, più che a quel milione di americani che ha perso il lavoro, a favore dei cinesi».
Sostiene che gli «anti» siano destinati a perdere.
«Perché la connettività è parte della nostra natura umana profonda. Non puoi essere anti-connettività, anti-globalizzazione, anti-tecnologia, e così via. È come essere contro la gravità...»
Dice che le guerre saranno sempre più per il controllo delle supply chain che dei territori. Che cosa significa?
«Faccio un esempio. Chi riesce a vendere più petrolio sul mercato oggi? Questo è ciò su cui Russia, Arabia Saudita e Iran competono. Chi ottiene i profitti maggiori dall'iPhone Apple? Questo è ciò su cui competono Apple, l'India e la Cina. Siamo in competizione per la connettività. Ed è molto meglio che combattere per dei territori».
Perché andiamo verso il «mondo delle supply chain», un «capitalismo perfetto»?
«Un mondo di connettività totale è un mondo dove l'offerta di qualunque cosa, il petrolio, le materie prime, i beni, le idee, la tecnologia, può raggiungere il luogo o la persona che ne faccia domanda. Il mondo delle supply chain è la personificazione della legge della domanda e dell'offerta, il più antico dei principi economici».
Le supply chain sono l'altra faccia della connettività?
«Il mondo di supply chain ci consente di ottimizzare la terra, il lavoro e il capitale, i fattori chiave della produzione. Il capitalismo di mercato è questo. Potenzialmente ci consente di realizzare la visione del mercato libero di Adam Smith e del vantaggio comparato di David Ricardo».
Ma è tutto solo positivo?
«Il fatto che tutto diventi mercato significa anche che possiamo saccheggiare più facilmente le risorse ambientali del pianeta. E questa non è una cosa buona».
Secondo lei, le megalopoli daranno forma al mondo del futuro. Perché?
«Le città sono le nostre unità economiche e politiche collettive più antiche. Hanno visto califfati, imperi e stati nascere e morire. Oggi le città sono così grandi e economicamente potenti che sono molto più importanti della maggior parte dei Paesi».
Come ha raccolto tutti i dati e le ricerche del suo saggio?
«Adoro raccogliere dati. Basta essere aperto a tutte le fonti di informazione... Uno dei dati che preferisco è che entro il 2025 tutti saranno connessi a internet sul cellulare; e poi che costruiremo più infrastrutture nei prossimi 40 anni che nei 4mila precedenti».
Viaggia tantissimo e da molti anni. È un nuovo tipo di viaggiatore, diverso dal passato?
«Questa è una domanda bellissima... Ho un rispetto profondo per tutti i viaggiatori che mi hanno preceduto e ho imparato moltissimo da loro. Però i tempi, e i luoghi, cambiano. Quindi dobbiamo tornare nei luoghi di cui abbiamo letto, per capire esattamente come siano oggi. Dobbiamo osservare come le tendenze globali siano manifeste nei singoli luoghi. È quello che faccio».
Che luogo considera «casa»?
«Non penso ai luoghi come casa. Sono indiano, americano, tedesco, singaporiano. Sono di New York, di Londra, di Dubai. Però, ora che sono sposato e ho dei figli, Singapore è il posto in cui abbiamo il nostro armadio... Forse è la città-stato meglio connessa e meglio governata al mondo».
È
considerato «una delle persone più influenti del XXI secolo». Come mai?«Non ne ho idea. Ho un solo obiettivo: essere corretto nelle mie analisi. Nient'altro. Se l'analisi è corretta, l'influenza sarà una conseguenza».
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