Gennaio 2006. Un giovane ragazzo di 23 anni imprigionato, torturato per 24 giorni, tenuto a digiuno, rapato a zero, abbandonato in un bosco e bruciato vivo. Un rigurgito di antisemitismo che non si vuole ammettere ed è proprio il personaggio della madre ad intuire subito la verità: avverte gli inquirenti, senza essere ascoltata. E quando ormai la tragedia si è consumata e il procuratore, nelle sue dichiarazioni, si ostina a escludere il movente razzista, la donna sottolinea: "Mio figlio è stato ucciso una seconda volta. Mio figlio è stato scelto dai criminali perchè era ebreo. Se non fosse stato ebreo non l'avrebbero assassinato". Ma nonostante il dolore, Ruth non cerca vendetta: nelle ultime sequenze, mentre fa trasportare la salma del figlio a Gerusalemme, "affinchè i suoi carnefici, una volta usciti di galera, non vadano a sputare sulla sua tomba", la donna racconta delle tante lettere di solidarietà ricevute da persone di varie religioni diverse compresi musulmani. "Vorrei che la morte di Ilan servisse a dare l'allarme".
Una storia struggente che accende, ancora di più di quanto non faccia già l'attualità, i riflettori sul tema del fondamentalismo. Ed è di Alexandre Arcady il film che affronta l'affaire Halimi, "24 giorni". Una pellicola cruda, che narra la storia di Halimi, prima vittima del nuovo antisemitismo. Andrà in onda giovedì in prima serata su Raidue. A seguire lo Speciale Virus-Il contagio delle idee (@VirusRai2), con Nicola Porro, dall'Auditorium Conciliazione di Roma per un dibattito sulla tolleranza e il dialogo che vedrà protagonisti tra gli altri Imam Yahya Pallavicini, presidente Coresi, Comunità araba italiana, Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma e Monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia.
Per 24 giorni le autorità francesi hanno gestito il rapimento di Ilan come un atto di delinquenza comune, negandone ostinatamente la matrice antisemita. È solo grazie al coraggio della mamma Ruth che la vicenda è stata portata a conoscenza dell'opinione pubblica ed agli autori di quel crimine efferato è stata riconosciuta l'aggravante di omicidio a scopo religioso. Il rapimento era stato architettato, utilizzando come esca una ragazza, Sorour Arbabdzaseh, assoldata con l'unico scopo di irretire il giovane, per poi tendergli un'imboscata. Scoperto nudo ed agonizzante il 13 febbraio 2006 lungo un binario ferroviario a Sainte-Geneviève-des-Bois nel Dipartimento di Essonne, è deceduto all'ospedale poco dopo l'arrivo.
L'autopsia, effettuata il 14 febbraio, ha rilevato bruciature sull'80 per cento del corpo, numerosi ematomi e contusioni, una ferita da taglio alla guancia e due alla gola."Un pugno allo stomaco in perfetto stile Virus", dice Nicola Porro convinto che "guardare le immagini di un orrore vuol dire voler conoscere per deliberare".
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