Ci sono intrecci biografici che, come pochi altri, si situano al crocevia della storia. È il caso della vita della grande diva del cinema francese Corinne Luchaire (1921-50), alla quale Marco Innocenti dedica ora un intenso, bellissimo romanzo, Il profumo di Corinne (Mursia, pagg. 298, euro 16).Consacrata come la nuova Greta Garbo per la sua interpretazione nel film Prison sans barreaux, del 1938, Corinne fu il «fiore del male» della Francia collaborazionista. La sua carnalità un po' androgina ossessionò l'immaginario erotico di una generazione di francesi che facevano la coda ai botteghini per saziare lo sguardo. Ma lei, Corinne, con il suo fascino languido da dea pagana, fu anche la regina delle notti parigine, con i suoi eccessi, le sfrenatezze alcoliche a base di champagne e gin, le nudità danzanti dei suoi rituali di baccante eccitamaschi. Lasciava, ovunque passasse, la scia del suo profumo Audace, di Rochas, un aroma aggressivo e sensuale che dicono aleggi ancora nei locali notturni più sofisticati di Parigi.Era la primogenita di Jean Luchaire, celebre giornalista che il regime del maresciallo Pétain mandò nella Capitale francese sottomessa ai nazisti a interpretare la parte, a lui congeniale, del collaborazionista entusiasta, in un duplice ruolo: quello, ufficiale, di direttore di una delle testate di punta fiancheggiatrici dei tedeschi, Les Nouveaux Temps, e l'altro, ufficioso, di cortigiano degli occupanti, quale propagandista di altissimo rango e patrocinatore speciale della fratellanza franco-germanica. Non a caso, Luchaire fin dal 1930 era stato in combutta con Otto Abetz, uomo di raffinata cultura che Hitler inviò a Parigi, in qualità di ambasciatore, nel 1940. Jean e Corinne diverranno così parte della più intima cerchia di Abetz, tanto che la stampa americana, in piena guerra, sosterrà l'esistenza di una tresca sentimentale fra l'attrice francese e il diplomatico del Reich. Notizia priva di fondamento, mentre è invece certo che Abetz abbia sposato la segretaria di Luchaire, Suzanne, regina dei ricevimenti all'ambasciata.Si dà anche il caso che il padre di Corinne, nato a Siena, fosse figlio dello storico Julien Luchaire, attraverso il quale erano passati i finanziamenti francesi diretti al mussoliniano Popolo d'Italia, al tempo della sua fondazione. E che sua nonna Fernande, divorziata da Luchaire, sposasse in seconde nozze l'antifascista Gaetano Salvemini. Quest'ultimo ebbe poi a subire il grave imbarazzo di avere, quale figliastro, un apostolo, se non un ideologo, della collaborazione europea con il Reich. Jean Luchaire, che la sua amica Margherita Sarfatti, amante ebrea del Duce, definì «charmeur senza rivali», era l'amore segreto di sua figlia Corinne, la quale edipicamente stravedeva per lui. Facevano infatti coppia fissa, e spesso erano scambiati per due amanti, perché lui era nemmeno vent'anni maggiore di lei. Fatale dunque che i loro destini finissero incrociati.Lei, bella e dannata, ma anche tremendamente annoiata dalla vita, passò da un idillio sentimentale all'altro, flirtando con il figlio dell'Aga Khan e con l'aristocratico inglese Lord Stanley, e mandando in bianco un suo illustre corteggiatore, il grande womanizer Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, proprio alla vigilia dell'entrata in guerra dell'Italia contro Francia e Inghilterra. E lui, incallito vendemmiatore di carne femminile, insegnò alla figlia la sua filosofia mondana della nazificazione europea, srotolandole un tappeto rosso di champagne parties, di serate danzanti, di concerti wagneriani, nella Parigi con le croci uncinate che si dissipava tra gli ultimi bagliori della sua sontuosa magnificenza.Alla fine, padre e figlia, dopo la liberazione alleata della Francia, finirono alla deriva, nella comunità dei relitti di Vichy, sotto lo scudo tedesco, al castello di Sigmaringen, nel Baden-Württemberg. Una colonia di naufraghi ridotti ormai ad attendere la vendetta della Storia.Come altri capi politici e morali della collaborazione, Jean Luchaire fu condannato alla pena capitale e fucilato nel febbraio del 1946. E Corinne quello stesso anno venne privata dei diritti civili e costretta a vivere quasi di elemosina, oggetto dell'accanimento e del disprezzo popolare, sola e randagia nella Parigi che solo pochi anni prima era stata il suo palcoscenico dorato e ora si rivelava il rifugio della sua lenta e straziante agonia.Nel 1949 pubblicò la sua autobiografia, Ma drôle de vie.
Poi il suo male, la tubercolosi, ebbe il definitivo sopravvento, stroncandola, il 22 gennaio 1950, a neppure 29 anni, ma già sazia di vita. Girò dieci film, ma eccelse soprattutto nella esibita rappresentazione di se stessa, durante la sua esistenza inimitabile: una lunga e consapevole marcia verso il baratro dell'autodistruzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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