Così la Biennale del 1922 "incoronò" l'arte africana

Una mostra ricostruisce la storica esposizione Preveggente e rimasta unica molto a lungo...

Così la Biennale del 1922 "incoronò" l'arte africana

Per buona parte del 900 l'arte africana è stata sinonimo di terzo mondo. Anzi, sarebbe persino più corretto parlare di oggetti artigianali, conservati nei musei etnografici, piuttosto che di opere con una dignità propria. Oggi, evidentemente, non è più così. Ovunque, anche per qualcosa che ha a che fare con la coscienza politica di un risarcimento inevitabile, si celebra il Continente Nero. È di questi giorni l'apertura - l'ennesima - di una grande mostra alla Fondation Louis Vuitton di Parigi che ne esplora le tendenze contemporanee, nell'ambito di un festival ancora più esteso. Sono almeno trent'anni che il processo di rivisitazione culturale ha investito i rapporti tra l'occidente e l'Africa, a partire dal 1989, anno di Magiciens de la Terre al Centre Pompidou. Anche la prossima Biennale di Venezia, che si aprirà tra pochi giorni, promette un'ampia ricognizione sull'arte degli altri mondi, da dove oggi giungono le nuove star del contemporaneo. Ma, a ben vedere, l'episodio più significativo ad inaugurare la «moda» dell'arte africana data al 1922, quando sempre in Laguna alla XIII Biennale, la seconda dopo la fine della Prima guerra Mondiale, viene ospitata la Mostra di Arte Negra. Fatto inedito in Italia e anticipato solo da eventi meno ufficiali in Francia.

La mostra viene ricostruita ora nell'esposizione Il cacciatore bianco, in corso allo spazio FM di Milano (fino al 3 giugno). Il curatore Marco Scotini si è accorto di questo importante precedente storico e, pur esponendo per gran parte opere contemporanee, ha studiato insieme a Gigi Pezzoli quella misteriosa sala veneziana, di cui non si hanno immagini fotografiche ma pochi documenti d'archivio. Qualcosa di più di una curiosità.

Nel maggio del 1922, apre appunto la Biennale, un'edizione presieduta da Giovanni Bordiga e Vittorio Pica nel ruolo di segretario generale, che vede tra l'altro i marmi del Canova e la retrospettiva dedicata ad Amedeo Modigliani. Il fascismo è alle porte. In questo clima di continui cambiamenti culturali, cui non è ininfluente la politica coloniale cominciata già negli ultimi decenni del XIX secolo, l'arte negra con ben 33 sculture di idoli, maschere, figure, strumenti di uso rituale e magico appartenenti alle collezioni del Museo Etnografico di Roma (il futuro Pigorini) e del Museo Antropologico ed Etnologico di Firenze, viene presentata per la prima volta in Italia come arte e non in quanto reperto. Niente affatto disprezzata o minimizzata ma giudicata molto interessante. Peraltro, nel 1923 a Roma si apre il Museo Coloniale. Prima d'allora, infatti, l'Italia risulta in ritardo rispetto alla Francia, dove dagli anni '10 circolano diversi oggetti africani, anche per l'interesse dei Surrealisti. Boccioni, Soffici, Savinio cominciano a guardarli liberandosi da preconcetti, mentre D'Annunzio li trova noiosi. Nel 1912 Ugo Ojetti sul Corriere della Sera evidenzia l'importanza delle arti primitive come ispirazione per le avanguardie novecentesche alla ricerca di modelli non convenzionali. Ma il palcoscenico di Venezia è tutt'altra cosa: Carlo Anti, uno dei due curatori della storica Biennale, ribadisce su Dedalo nel 1921 l'ammirazione per quelle forme di arte incolta, preistorica, primitiva e infantile.

Oggi tutti parlano di multiculturalismo, d'accordo. Però in quel lontano 1922 sono già rappresentati tutti i continenti. Africa per ultima, con oggetti provenienti da Congo, Angola, Gabon e Sudan, giunti in Italia fin dal tardo 800. Fatto straordinario, perché all'Africa è sconosciuto quel concetto di autorialità che in Europa segna il passaggio dalla fine del Medioevo all'inizio dell'era moderna.

Gli anni '20 dunque anticipatori di una tendenza contemporanea? Azzardato sostenerlo fino in fondo, eppure si comincia a parlare una lingua globale che spiegherebbe l'interesse per culture altre. E le reazioni degli specialisti? Alcune di lode, altre assai critiche. Lo stesso Anti ribadisce che lo sviluppo dell'arte africana sarebbe stato precluso dall'imporsi della civiltà bianca. Le accuse più frequenti sono di eccessiva ingenuità, di poca elaborazione dei materiali. Severo il giudizio di Carlo Carrà: «il cosiddetto negrismo non presenta alcuna importanza estetica».

Per il sindaco di Venezia, nella Biennale del '22 ci sono scelte troppo aperte e pure Modì non sfugge alle critiche per la sua vita troppo irregolare e maledetta.

Per ritrovare l'arte africana in Biennale bisognerà comunque aspettare il 1959 e addirittura il 2007.

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