Così grande e così lontano Che guaio papà Monicelli

La figlia del regista racconta la difficile infanzia passata accanto a un padre che viveva solo di cinema: amore e odio si mescolano

Mario Monicelli con la figlia Ottavia
Mario Monicelli con la figlia Ottavia

Al grande regista Mario Monicelli nel 1974 nasce una seconda figlia, Ottavia. Ne ha già una, un po' più grande, Martina. È sposato con una bellissima modella dalle gambe chilometriche. La donna non voleva sapere nulla del mondo del cinema. Ma, come spesso accade, ha finito per sposare un regista. Monicelli è raggiante. Temeva l'arrivo di un maschio. Non a caso nel 1986 girerà un film dal titolo inequivocabile: Speriamo che sia femmina. È un uomo felice. Una bella famiglia. Una carriera di successo. Quando nasce Ottavia il padre sta ultimando un piccolo gioiello, Romanzo popolare. Protagonista è un maturo sindacalista milanese (e milanista) Ugo Tognazzi, che ha sposato la giovane e splendente Ornella Muti. Non riesce però a tenere alla larga un aitante poliziotto meridionale, Michele Placido. Stanca dei due, alla fine, la donna li mollerà entrambi.
Monicelli, come suo solito, è inquieto. Non trova pace. Ottavia cresce con un padre assente. Non c'è il primo giorno di scuola. Non c'è quando ha finito di nuotare in piscina. Non c'è ai compleanni. Non c'è al mare in vacanza. Non gli scatta foto. Non gli compra regali. Non camminano mai insieme mano nella mano. Per Monicelli esiste solo il cinema. Il suo universo è il cinema. Vive molto in casa, chiuso nel suo studio, dove lavora con gli sceneggiatori Age e Scarpelli. Quando è solo ascolta musica classica, legge libri e giornali. La figlia deve stare fuori. Vive con lui, ma è lontana da lui. Questo disperato bisogno d'affetto paterno Ottavia lo racconta nel libro di memorie Guai ai baci. Così grande, così lontano: ritratto di mio padre (Sperling & Kupfer, pagine 180, euro 16,00). Una radiografia senza reticenze. Già dal titolo. Che razza di padre è un padre che non bacia la figlia piccola? È un padre! E basta. Nessuno può scegliersi i genitori: sono come sono. Affettuosi o non. Pazienti o non. Ricchi o non. Ma sono, comunque, genitori. Anche se non ti baciano mai. Ottavia però dimostra di amarlo quel padre burbero e scontroso, spesso iracondo. Di amarlo in una maniera splendida e viscerale. Anche se l'ha tradita. Cominciando prima col tradire la madre. E poi lei, la figlia piccola e fragile. Infatti Mario è pronto a lasciare moglie, bambine e casa. Un giorno suona il telefono. La madre risponde. Dall'altra parte della cornetta una voce femminile chiede del marito. «Chi lo cerca?». «Sono la fidanzata». La moglie non si scompone e replica: «Bene, io sono la moglie. Qui ci sono sedici camicie da stirare. Se vuole venire facciamo a metà». Questa battuta non sfigurerebbe in una commedia di Monicelli. Il regista nega. Si nasconde dietro scuse incredibili. La moglie lo sente parlare al telefono, e lo incalza: «A chi dicevi non posso vivere senza di te?». Il regista spara una balla geniale: «A Furio Scarpelli».
La fuga è imminente. Monicelli avrà una nuova casa, una nuova moglie, addirittura un'altra figlia, l'ennesima, all'età di settantaquattro anni. Ottavia soffre. Soffre in maniera terribile. Narra la sofferenza con precisione. Ma come poteva un uomo così intelligente e determinato essere così privo di affetto? Ottavia è un po' come la figlia di un generale: non deve piangere mai. Ma è difficile sopportare. Cresce, e con lei cresce il dolore. Stravede per il padre, ma lui la tratta malissimo. Un giorno gli dice che vuole laurearsi in storia dell'India. E Monicelli scodella una battuta rubata al repertorio del conte Nello Mascetti del suo film Amici miei (1975): «Ogni giorno leggo sul Sole-24 che cercano per dargli lavoro laureati in storia dell'India». Che carogna! Monicelli è fatto così. Prendere o lasciare. Ottavia crolla. Cade nel buco nero della depressione. Ma ecco l'inatteso. Mario accorre al suo capezzale. Poi una sera, quando la ragazza è in via di guarigione, si confida, per la prima volta. Le ricorda come suo padre si sia ucciso sparandosi. La depressione è un tratto comune alla famiglia Monicelli. Che non ha risparmiato neppure lui, così forte. L'uomo che fa tremare gli attori è fragile. Lui che non vuole mai guidare la macchina, preferendo camminare o girare con i mezzi pubblici, nel 1988 ha un incidente terribile, dal quale esce vivo per miracolo. La decadenza ha inizio. Monicelli reagisce. Ma è una vana lotta. Si ammala gravemente. Ogni giorno peggiora.

Chiude l'esistenza terrena come il padre, lanciandosi nel vuoto da una finestra dall'ospedale dove è ricoverato. Mario Monicelli è stato un uomo davvero fortunato. Ha fatto grandi film, ha vinto tanti premi. Ma il vero tesoro l'aveva in casa, a portata di mano. Era sua figlia. Alla quale non dava baci. Così è la vita.

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