«Credi che esista solo questo universo? Questo universo è solo uno di un numero infinito di mondi senza fine, alcuni benevoli, altri pieni di malvagità e miseria, luoghi oscuri, dove poteri più antichi del tempo rimangono avidamente in attesa. Chi sei tu in questo vasto multiverso, Mr. Strange?». Così diceva l'Antico nel corso del primo film dedicato al supereroe interpretato da Benedict Cumberbatch.
Da qualche tempo Marvel con i suoi film e serie tv su Disney+ (Spider-Man: No Way Home, Wanda Vision e Loki, per esempio) esplora concetti di realtà parallele e mondi possibili che stuzzicano la fantasia dei fan e anche la cupidigia dei produttori, cui si apre un mondo di versioni e destini, tutti da scandagliare, al cinema e in tv.
Una manciata di queste versioni verrà raccontata in Doctor Strange nel Multiverso della Follia, in sala dal 4 maggio, con Benedict Cumberbatch ancora nei panni del Dr. Stephen Strange dopo la recente apparizione in Spider Man: No Way Home.
Mr Cumberbatch, lei l'ha capito cos'è il multiverso?
«Alla sua base c'è questa idea, che è circolata molto in ambito scientifico e nella cultura popolare, che possano esistere diverse realtà parallele, ma in termini completamente diversi. In pratica ci potrebbero essere versioni multiple di questa realtà. È la teoria delle stringhe, che ipotizza che esistano altre 26 dimensioni, oltre alle tre spaziali e all'una temporale a cui siamo abituati: è una teoria scientifica ma è teoria, difficile da confutare o provare. Non so se il multiverso esista realmente. In ogni caso non voglio averci niente a che fare. Penso che la vita sia già abbastanza complicata così com'è, con un solo universo...».
Quindi è stato difficile finirci dentro, anche se solo sul set?
«Non lo definirei difficile. È stato come fare terapia. C'erano varie versioni del Dottor Strange, alcune decenti, altre meno, interpretarle tutte mi è valso anni di psicanalisi».
Questo film è diretto da Sam Raimi, uno dei maestri dell'horror moderno al cinema.
«Si è parlato molto di quanto forte sarà la componente horror in questo film, vorrei smorzare gli entusiasmi. Sarà dark ma non sarà Shining o L'esorcista. Ci saranno momenti che faranno saltare sulla sedia. È un film di Sam Raimi vecchio stile, come quelli che fece a inizio carriera».
Le piacciono gli horror?
«Alcuni, ma non sono un fan del genere. Mi faccio suggestionare e un'immagine spaventosa riesce a perseguitarmi per molto tempo dopo aver visto il film. E poi penso che di orrori al mondo ce ne siano abbastanza senza crearne altri al cinema».
Ha indossato per la prima volta il mantello di Strange nel 2016. Come si è evoluto il suo rapporto con lui in questi anni?
«All'inizio avevo qualche dubbio sulla bontà di portare il Dottor Strange al cinema. Il fumetto è degli anni '70, risultava molto misogino, un po' datato, in quella sorta di incontro iniziale tra il misticismo orientale e cultura pop occidentale. Superate le perplessità iniziali è iniziato un meraviglioso viaggio. All'inizio era un uomo competente e abile, ma freddo nel suo compito di aiutare le persone, e anche molto felice di raccogliere premi e avere contratti per libri. Insomma quel tipo di gloria che essere un medico famoso comporta. Poi tutto va sottosopra a causa di un incidente stradale e la perdita dell'uso delle mani, così fondamentali nel suo lavoro, e l'acquisizione di un potere che diventa una fonte, che serve una causa più grande di lui».
E ora?
«Ora è anche lui uno spettatore del multiverso e le sue sicurezze vengono messe in discussione. È brillante, è danneggiato, è imperfetto, è eroico, altruista e però anche completamente assorbito da sé stesso. È molto vanitoso e allo stesso tempo menefreghista. Una bella combinazione di ingredienti con cui giocare».
Nel film si spiega che i sogni sono una diversa realtà parallela del multiverso. Se potesse entrare in un sogno, quale sarebbe?
«Non so, forse il sogno del volo. Mi capita spesso di sognare di volare e mi chiedo perché ci siamo sempre sforzati di sfidare la gravità. Abbiamo gli uccelli che lo fanno senza sforzo intorno a noi, che per imitarli abbiamo costruito macchine che possono portarci nell'atmosfera terrestre e oltre.
Se invece mi chiede quale superpotere che vorrei avere, è quello di potermi spostare da un posto all'altro senza viaggiare. Mentre amo i viaggi lunghi, lenti e propositivi, ce ne sono tanti non molto interessanti e non propositivi, che preferirei saltare, per tornare a casa».
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