Fragile, elegante, innamorata, indispettita, in attesa. È così che compare all'inizio di The Crown la regina Elisabetta (interpretata da Claire Foy). Attende fuori da un elegante stanza di Buckingham Palace mentre il suo futuro sposo, Philip Mountbatten, principe di Grecia e di Danimarca, rinuncia ai suoi titoli stranieri per poterla sposare.
E quando il futuro marito, bello ma riottoso ai doveri di una monarchia, finalmente ne esce, sul suo volto passano tutti i sentimenti che una donna sul punto di sposarsi può provare, gioia, paura, amore misto a voglia di darsela a gambe.
Può bastare questa breve descrizione iniziale per far capire quanto bene abbia lavorato lo sceneggiatore Peter Morgan (quello del film The Queen per intenderci) per raccontare l'alba di uno dei regni più lunghi della storia (attualmente la regina Elisabetta è il capo di Stato in carica da più tempo). Nelle dieci puntate, da sessanta minuti ciascuna, che da venerdì saranno disponibili su Netflix, scorre un bel pezzo della storia d'Inghilterra e Peter Morgan può dar vita a quel racconto delle vicissitudini di una Monarchia, sospesa tra tradizione e modernità, che in The Queen, per ovvi motivi, aveva soltanto abbozzato e che ora spera di poter sviluppare. A partire dal matrimonio di Elisabetta sino ai giorni nostri.
La prima stagione si concentra appunto sugli inizi difficili di quel regno.
C'è la giovane Elisabetta ancora ben lontana dall'idea di dovere assumere la responsabilità del trono. C'è Giorgio VI (interpretato da un bravissimo Jared Harris) che, da sempre, è stato un re fragile e molto impacciato in pubblico e che si scopre, all'improvviso, irrimediabilmente malato. E soprattutto c'è lui: Winston Churchill nel suo ultimo mandato come primo ministro. Ed è proprio nella dinamica tra la Monarchia e il mastino conservatore che si sviluppa il meglio della narrazione. Da un lato il vecchio leone della politica che si sente in dovere di proteggere la tradizione e la Corona, pur sapendo di essere anche lui sul viale del tramonto. Dall'altro una Casa reale che dovrà, gioco forza, affidarsi a una ragazza che non ha avuto il tempo di prepararsi per il trono. Attorno a loro una nazione che è stata la più grande potenza del globo e deve ora riuscire a ritagliarsi un ruolo nuovo.
Abbastanza per ricavarne una trama dagli accenti a volte quasi tragici, il dialogo tra il morente Giorgio VI e il giovane principe Filippo nella nebbiosa campagna, a volte sapidi e pettegoli: come quando si tratta della relazione tra la principessa Margaret e l'eroe di guerra, nonché valletto reale, Peter Townsend. A darle forza un'ambientazione di grande precisione (poche e di dettaglio le forzature) con dei costumi perfetti che ricordano la grande tradizione delle produzioni britanniche, soprattutto quelle targate BBC. Merito del regista Stephen Daldry (Billy Elliot, The Hours) e del budget stratosferico (si è parlato di cento milioni di sterline). E in questo caso la produzione ha anche il vantaggio di non essere di Stato, dando alla serie la possibilità di essere un po' meno ingessata nella descrizione della monarchia di quanto sarebbe una serie ufficiale.
Il risultato è quasi una docufiction con la scorrevolezza di un'opera di fantasia.
Si potrebbe dire una Dowton Abbey ma vera. Va detto, il ritmo non diventa mai travolgente, essere filologici ha un prezzo, ma se siete curiosi della storia inglese, questo è il prodotto per voi. Mai agiografico del Palazzo, mai irriverente a vanvera.
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