De André, il Faber dal vivo: racconto di un poeta che si dona ai fan

In uscita un cofanetto che raccoglie per la prima volta tutti i concerti del cantautore senza sconti e censure

«Mi entusiasma ancora oggi sentire quanto Fabrizio sia cambiato attraverso i concerti dal vivo, quanto sia entrato sempre più in empatia con l'umanità che lo circondava, lui che prima frequentava solo gli amici, la famiglia e l'angiporto di Genova». Così Dori Ghezzi introduce il cofanetto Fabrizio De André. I concerti, che raccoglie in 8 doppi cd (più un libro illustrato con foto inedite, immagini del backstage e memorabilia) il percorso dal vivo di Faber dagli esordi del 1975- '76 agli ultimi spettacoli del 1997 - '98.

16 album dunque, in uscita il 13 novembre, per documentare otto tour di cui non c'erano tracce su disco tranne quella del '78 - '79 con la Pfm, che però ora è stata allungata con venti minuti di contestazione da parte del pubblico durante la tappa romana. Perché qui non c'è solo musica, non solo tante emozioni ma anche un pezzo della nostra storia, un pezzo di un'Italia che è rimasto dentro di noi e non si chiama (solo) nostalgia. Metti i cd e sembra di essere lì, ai concerti di Faber, sembra che il tempo non sia passato anche perché i testi e le musiche sono tremendamente attuali. Alcuni sono incisi molto bene, altri in modo artigianale come «live» comanda (ma è questo il bello, con gli applausi, le voci in sottofondo, le battute con i fan, le chitarre e gli altri strumenti che viaggiano a ruota libera). Sono dei bootleg ambientali che raccontano storie senza sconti e senza inganni. «Ho sempre creduto che ci sia poco merito nelle virtù e poca colpa nell'errore», dice De André nel suo ultimo tour, Mi innamoravo di tutto, prima di attaccare La città vecchia da brividi.

«All'inizio era chiuso sul palco - ricorda Dori Ghezzi - poi si è lasciato andare sempre di più e la sua disponibilità attraverso i concerti ha fatto sì che la gente lo amasse ancora di più». Tutto è partito sabato 15 marzo 1975 dalla mitica Bussola di Sergio Bernardini, che volle a tutti i costi organizzare lo show di Faber, l'unico «grande» che non aveva ancora attirato nel suo locale vipparolo. Fabrizio si presentò e, vincendo la sua naturale ritrosia, eseguì i suoi classici (che sembrano scritti oggi) da una nuova versione di La canzone di Marinella a Via del campo passando per Via della povertà, versione italiana della Desolation Row di Dylan. Il Corriere della Sera titolò «Un mito in pubblico» e scrisse: «L'oggetto misterioso Fabrizio De André, arrivato al successo senza mai mostrare la sua faccia, attraverso la vendita di dischi che la gente ha scoperto da sola, non è più misterioso. Da sabato notte, dopo il suo primo spettacolo in pubblico dopo quasi dieci anni di lavoro “clandestino”, è rimasto solo un oggetto; raffinatissimo oggetto di gusto e di lusso...». Il secondo cd lo vede alle prese con Storia di un impiegato, il suo album più politico (eseguito per la prima e unica volta integralmente dal vivo) e viene subito alla mente il paragone con l'amico Beppe Grillo. «Fabrizio era anarchico e libertario, - ricorda Dori - probabilmente lui e Grillo avrebbero parlato molto ma lui non si sarebbe mai schierato politicamente». I concerti con la Pfm, gli unici già pubblicati in precedenza, sono impreziositi con inediti momenti della violenta contestazione (o tempora o mores) di Roma del 23 gennaio 1979, «quando Fabrizio, senza perdere la calma, prese le difese di alcuni giovani che erano stati arrestati nei tumulti».

E in concerto parlava sempre di più, spendendosi per i più deboli e i reietti come le prostitute in apertura di 'Â dumenéga (dal tour Crêuza de mä), per i gay prima di cantare «a luci accese, perché nessuno si debba vergognare di come è» I figli della luna (dal tour In teatro), per gli indiani: «Non festeggerò l'anniversario della scoperta dell'America ma piangerò per il lutto dei poveri

indiani» declama prima di eseguire Fiume Sand Creek da Anime salve. Un percorso duro e realista che non fa sconti a nessuno e soprattutto non ha confini, tanto da poter prendere cittadinanza nel cuore di ciascuno di noi.

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