"Descrivo il nazismo usando i film di Fritz Lang e gli zombie di Romero"

L'autore dei gialli ambientati nella Germania hitleriana: "I testi di storia non dicono tutto"

"Descrivo il nazismo usando i film di Fritz Lang e gli zombie di Romero"

Con Berlino 1944, I figli di Odino, Atto finale, La lista nera e L'inverno della fame (tutti editi da Emons Edizioni) lo scrittore, giornalista e drammaturgo tedesco Harald Gilbers ha costruito un affresco narrativo che racconta Berlino fra il 1944 e il 1947, scegliendo la lente d'ingrandimento del noir. Ad accompagnare nelle storie i lettori sono le peripezie dell'ex commissario di polizia Richard Oppenheimer, rimosso dall'incarico per le sue origini ebraiche e poi rimesso in campo dal regime nazista. Così Gilbers spiega la genesi di questo suo singolare progetto: «All'inizio avevo pensato di scrivere Berlino 1944 perché diventasse un film. Il cinema mi ha sempre influenzato e i film diretti in Germania da Fritz Lang prima di emigrare negli Stati Uniti sono stati il mio punto di partenza. In M - Il mostro di Düsseldorf e Il testamento del dotto Mabuse compare il personaggio del commissario Lohmann. Mi sono chiesto come avrebbe potuto essere la vita di Lohmann durante il nazismo se fosse stato ebreo. Da qui nasce l'ispirazione per Oppenheimer. Nel primo romanzo volevo raccontare una storia sui raid aerei alleati, ma senza incoraggiare atteggiamenti nazionalistici di rivincita. Così ho scelto un ebreo come protagonista principale. In questo modo potevo ricordare al mio lettore la causa della guerra: l'ideologia disumana e delirante di Hitler. In quanto ebreo, Oppenheimer è l'ultimo perdente della Germania nazista e non si può fare a meno di tifare per lui».

Perché per il suo Paese è così difficile misurarsi con il periodo che lei racconta nei suoi romanzi?

«Per la maggior parte dei tedeschi il nazismo è il peccato originale della nostra storia. Ma le implicazioni sono molto più ampie. Il fatto che una società con un alto livello culturale sia potuta cadere nella barbarie è un monito, e penso sia importante raccontare alle persone le modalità di questa tragedia. Oggi populismo e fascismo stanno rifiorendo, quindi è fondamentale stare in guardia. Gli ultimi giorni della Repubblica di Weimar e l'Olocausto sono ampiamente trattati, nelle nostre scuole, ma gli ultimi anni del regime nazista e gli anni caotici che hanno portato poi alla fondazione dei due Stati tedeschi, dell'Est e dell'Ovest, non sono poi così conosciuti. Soprattutto il periodo successivo credo spieghi molto delle condizioni attuali dell'Europa e del resto del mondo».

Come ha proceduto con la sua saga?

«Nei primi due romanzi la mia strategia narrativa è stata relativamente semplice: ho scritto due gialli ambientati nella Germania nazista dove non potresti davvero dire chi è il peggiore dei criminali: se l'assassino o il regime totalitario di Hitler. A ogni modo il passato non se ne è andato con la fine della guerra, la maggior parte dei sostenitori del nazismo è sopravvissuta. Sì, sono stati sconfitti, ma atteggiamenti revanscisti e un senso di sciovinismo nazionale sono rimasti. E i modi in cui il popolo tedesco ha cercato di affrontare il proprio passato nazista sono stati spesso contrastanti. Poi con i successivi romanzi ho affrontato il dopoguerra della Germania, che è molto complesso».

E la documentazione?

«È stato un lavoro molto complesso. Ho speso circa un anno e mezzo di ricerche generali senza scrivere una sola frase. All'inizio ho usato i libri di saggistica come primo riferimento, ma ho scoperto quasi subito che mancava qualcosa Non raccontavano l'intera storia. Quindi ho cercato altre fonti. Le testimonianze dirette sono difficili da ottenere, perché quasi tutti i testimoni oculari sono già morti. D'altra parte ho scoperto che le testimonianze di prima mano non sono particolarmente affidabili. Alla gente piace semplicemente raccontare belle storie, quindi non aderiscono necessariamente alla verità, oppure a volte ci mostrano il lato più accattivante della storia. Per immergermi davvero in quel periodo storico ho utilizzato principalmente fonti contemporanee, come diari, giornali e fotografie, sempre verificando i singoli fatti. Non si dovrebbe credere a tutto ciò che si sente o si legge. La valutazione del materiale è la parte davvero difficile del lavoro».

Quanto c'è di storia reale e quanto di fiction, nei suoi libri?

«Cerco di inventare il meno possibile. Ma come romanziere devo rispettare le regole delle tecniche narrative e quelle della trama. A volte traggo ispirazione da cose molto diverse tra loro che a prima vista non sembrano essere in relazione. Può sembrare ridicolo, ma mentre lavoravo al terzo romanzo, Atto finale, ho guardato alcuni film di zombie per entrare nell'atmosfera giusta, perché le descrizioni, nei diari che avevo letto, mi ricordavano molto il film di George Romero. Penso che il segreto della scrittura stia anche nelle connessioni creative uniche che un narratore crea».

Quale opinione si è fatto dell'occupazione alleata?

«A mio parere l'occupazione della Germania era l'unica opzione possibile dopo la guerra. Comprensibilmente gli alleati volevano accertarsi che i tedeschi, che avevano appoggiato il nazismo non molto tempo prima, potessero essere nuovamente credibili. Al contempo era necessario un governo che funzionasse. Le persone avevano bisogno di cibo e riparo. Instaurare governi militari che trasferissero gradualmente il potere a politici eletti democraticamente è stata la scelta migliore. Ma la cooperazione tra Oriente e Occidente era destinata a fallire fin dall'inizio. I modelli economici semplicemente non erano compatibili: quello anglosassone per il mercato libero, e quello comunista dalla forte influenza statale.

A Est avevamo lo stalinismo che aveva deviato il comunismo in strumento atto a giustificare la propria dittatura. Quindi non sorprende che il settore orientale della Germania fosse stato rapidamente trasformato in uno stato fantoccio, proprio come i Paesi vicini alla Russia».

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