Dice Matthew McConaughey all'inizio del suo Greenlights (Baldini + Castoldi, pagg. 320, euro 23) che la sua non è proprio una classica autobiografia. Ma, del resto, la sua non è neanche una classica vita, insomma, questo figlio del Texas, nato il 4 novembre del 1969 a Uvalde, la città che gli ha insegnato «a comportarsi», poi cresciuto a Longview, cuore petrolifero nella parte orientale dello Stato, la città che gli ha insegnato «a sognare», non è certo il solito attore hollywoodiano (tranne per la bellezza indiscussa, si intende), è un ragazzaccio, «uno spaccone» per sua stessa ammissione, uno che ha sempre avuto poco a che spartire con le manovrette diplomatiche, le mezze misure, il politicamente corretto, poi, figuriamoci. Eppure ha vinto un Oscar, per Dallas Buyers Club.
Bello, dannato e santo. Uno che onora il padre e la madre, e per il quale la famiglia è tutto (i suoi hanno divorziato due volte e si sono sposati tre, sempre fra loro, sempre insieme). Confessa subito, all'inizio della non-autobiografia: «L'unica cosa che ho sempre saputo è che volevo diventare padre». Si capisce che Matthew, ultimo di tre fratelli, «un incidente» secondo la madre che ormai pensava di non poter più avere figli (fino al quinto mese di gravidanza era convinta di avere un tumore), non abbia problemi di identità/mascolinità/rapporti con il proprio e l'altro sesso. Ha tre figli con la sua Camila che, al momento di vivere insieme e metter su famiglia, gli ha posto una condizione soltanto: se devi andare da qualche parte per uno dei tuoi film, si va tutti insieme (anche Camila non deve aver problemi di identità/femminilità/rapporti con il proprio e l'altro sesso).
McConaughey crede in Dio, è un uomo che ha molto sbagliato, ha molto amato, si è molto divertito, e ha imparato a pregare. I suoi versetti preferiti sono dal Vangelo secondo Matteo: «Se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce». È un ottimista, americano dentro. È uno convinto che anche i semafori gialli e perfino quelli rossi, prima o poi, si trasformeranno in Greenlights, in semafori verdi, dei via libera attraverso cui sfrecciare nell'autostrada della vita. Non a caso, dopo aver dichiarato che potrebbe candidarsi come governatore del Texas, i sondaggi lo danno ampiamente vincente sull'attuale governatore, il repubblicano Greg Abbott. Per quale partito correrebbe non è chiaro, anche se nel libro si definisce «conservatore all'inizio, liberale dopo». Un liberale cresciuto con «una montagna di uomo», il padre, un metro e novanta per centoventi chili, che era solito trattare i figli da pari solo dopo un «rito di passaggio», tipicamente una gran rissa. Fra lui stesso e il figlio di turno. Matthew ha fatto eccezione: ha fatto a botte con il buttafuori di un locale, che aveva osato insinuare che il padre non avesse pagato la sua birra. Liberale, dopo.
I semafori verdi di McConaughey sono stati moltissimi e, quando ha trovato nebbia, o spento, o rosso, non si è lasciato fermare. Dice di essere «un ottimista di natura» e che il suo è «un libro di metodo», attraverso il quale non pretende di dare consigli ma di indicare una «strategia», quella sì, da lui stesso elaborata grazie alle «avventure vissute». Non immaginate tormenti da artistoidi, alla scuola di cinema ad Austin, intrapresa dopo aver mollato Legge al secondo anno (beneplacito del padre: «non farlo alla cazzo di cane»), era l'unico «abbronzato, cordiale, non nevrotico». Era l'unico che, nel weekend, guardasse Die Hard, anziché Ejzenstejn. Dopo tanti lunedì in cui si è sentito spiegare che i film che gli piacevano erano «merda», ha capito: «Dite che è merda solo perché è popolare». Quando è andato in California per la prima volta, in macchina ha messo su L.A. Woman dei Doors. Si è anche preso il peyote come Jim Morrison, però in Messico, nella gabbia di un puma (col puma dentro). È stato arrestato perché suonava un bongo nudo e ha resistito all'arresto, dopo il successo di Il momento di uccidere ha girato per tre anni l'America in lungo e in largo con un van e un cane, ha percorso il Rio delle Amazzoni e poi ha voluto interpretare «un uomo credente in un mondo dominato dalla scienza» in Contact, per esorcizzare i suoi demoni è andato in monastero, ha navigato sul Niger in piroga e si è addentrato nel deserto del Sahara, come ogni padre ha scoperto l'amore eterno appena ha visto sua figlia Vida, ha subíto quattro traumi cranici cadendo da altrettanti alberi e, da ragazzino, si è costruito una casa su un albero alta tredici piani, dalla quale vedeva tutta la città. Dice di essere stato «ingenuo, cattivo e cinico» e, forse, è per questo che i texani lo voterebbero subito. Ammette: «Sono stato educato secondo la mentalità del fuorilegge». Cinghiate e manrovesci. Rispetto assoluto dell'autorità materna e paterna: solo quando sei davvero un uomo, puoi trasgredire. Non prima. Prima sono parole vuote, buone per i figli di papà che vanno vestiti di scuro e coi musi lunghi alla scuola di cinema.
Questo suo libro, questi semafori verdi, pieni di umorismo e aneddoti, sono «una lettera d'amore» alla vita, scrive McConaughey, che si è isolato nel deserto per ripensare ai suoi primi cinquant'anni e tradurli in
parole, con una valigia colma di diari che riempiva da quando aveva quindici anni. «Non sono perfetto, tutt'altro, pesto merde in continuazione e ne sono consapevole» dice. Però ha imparato a pulirsi benissimo le scarpe.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.