"In Italia si è invidiosi del successo altrui": la storia (e il segreto del successo) di Domenico Vacca

Protagonista al Magna Graecia Film Festival, lo stilista Domenico Vacca a tutto tondo ai nostri microfoni: "Le star mi percepiscono come un artista, tra di noi c'è un rapporto paritario"

"In Italia si è invidiosi del successo altrui": la storia (e il segreto del successo) di Domenico Vacca

Ha curato il guardaroba di oltre cinquanta tra film e serie tv. È noto come “l’ambasciatore del Made in Italy” o come “la Ferrari dell’abbigliamento”. Ha vestito stelle del calibro di Glenn Close, Sharon Stone, Dustin Hoffman, Forest Whitaker, Daniel Day-Lewis, Al Pacino. E non ha intenzione di fermarsi qui. Protagonista al Magna Graecia Film Festival, lo stilista Domenico Vacca è un orgoglio italiano, un esempio per tanti giovani e un simbolo della qualità nostrana.

“Vorrei fare capire agli italiani che siamo veramente bravi nella qualità”, il giudizio di Domenico Vacca. La conquista degli States grazie alla passione, ma anche all'x factor che fa la differenza nel rapporto con le star:“L’attore mi percepisce come un artista, non come il brand che cerca di fargli vestire i capi per ottenere visibilità. C’è un livello di rapporto paritario, a differenza del brand che pensa alla campagna e ai soldi”. Ora, dopo aver raggiunto la vetta di Hollywood, ha aperto la sua prima boutique nel cuore di Roma e ai nostri microfoni si è raccontato a tutto tondo.

Il New York Times l’ha definita “l’ambasciatore del Made in Italy”. Il sogno americano lo ha realizzato pienamente…

“Le cose si sono evolute negli anni. Il cerchio si è chiuso, alla fine. Ho avuto una vita abbastanza interessante. Sono nato in Puglia, ad Andria, dove mia nonna aveva un atelier di moda dal 1920. Nonostante ciò, prima degli anni Ottanta e del boom della moda italiana, senza dimenticare la globalizzazione, mi hanno sempre sconsigliato di fare moda: troppo lavoro e pochi guadagni. Da bravo nipote, ho deciso di fare l’avvocato. Ho iniziato a lavorare con lo studio legale americano Baker & McKenzie a Milano, poi sono andato a fare un master in America grazie a una borsa di studio. Lì è iniziata un po’ la fase da ambasciatore del Made in Italy…”.

Perché?

“Per una serie di coincidenze, sono diventato avvocato dei brand della moda italiana e di altri colossi nostrani, come la Rai. Ho iniziato a capire che la moda, come altri settori, era in grande espansione, ma serviva qualcuno che li guidasse. Per sei anni ho fatto quello: ho cercato di promuovere il più possibile il Made in Italy. Poi, dopo dieci anni di attività legale, ho deciso di cambiare la mia professione”.

Magna Graecia Film Festival

Ha deciso di diventare un imprenditore nel mondo della moda…

“Ho iniziato a investire in una società sartoriale di Napoli. La mia vita è cambiata. Da quando ho iniziato a fare moda, mi alzo la mattina e mi diverto a fare il mestiere più bello del mondo. Lì ho realizzato che l’Italia ha delle grandi capacità di produttività dal punto di vista qualitativo. Sulla quantità noi perdiamo – ci sono i cinesi, ad esempio, che hanno strutture completamente diverse – ma sulla qualità siamo fortissimi. Mi sono dedicato a creare delle collezioni 100% Made in Italy, interamente prodotte in Italia. Ma non solo: ho iniziato a parlare di Made in Italy e di stile italiano, due concetti che vanno di pari passo. Il Made in Italy è importante quando si esporta anche lo stile italiano: noi da 25 anni educhiamo gli americani a come vestirsi, a capire la qualità dei tessuti, a capire la qualità della manifattura italiana”.

Ha capito qual è stata la chiave del successo?

“La chiave del mio successo è la passione per ciò che faccio. Quando ho lasciato Baker & McKenzie, dove ero diventato socio, ho sentito che questo stava diventando un lavoro. In quel periodo mio padre si ammalò di cancro e tornai in Italia per stargli vicino. Purtroppo lui morì. Quando tornai in America, realizzai che la vita è breve. In quell'esatto istante, decisi di seguire la mia passione, di provarci. Quando ho lanciato la mia prima collezione nel 2001, ho utilizzato una strategia inconsueta: andare direttamente al consumatore finale, acquistando un negozio sulla Fifth Avenue a New York. Molti mi hanno accusato di essere un pazzo scatenato (ride, ndr). Ma avevo capito che c’era bisogno di qualcuno che dicesse agli americani come vestirsi. Io sono mosso da questa energia, dalla passione”.

Il progetto ha avuto un enorme riscontro…

“Due cose sono state fondamentali. Dopo sei mesi la stampa italiana mi definì la ‘Ferrari dell’abbigliamento’ per la grande qualità del nostro lavoro. E poi l’incontro con un costumista di Hollywood, che mi propose di fare il guardaroba per il film ‘American Gangster’ con protagonista Denzel Washington. Da lì è iniziato tutto”.

Ha aperto il primo negozio in America dopo l’11 settembre, in Italia in piena pandemia. Passione ma anche coraggio…

“Io sono dell’idea che le crisi creino opportunità. Dopo una tempesta, il sereno deve comunque arrivare. Chi si posiziona, trae dei vantaggi. Io avevo il contratto di affitto del negozio sulla Fifth Avenue prima dell’11 settembre a un prezzo x. Dopo l’attentato, confermai il contratto ma pagando il 30 per cento in meno. A me piacciono le sfide, mi piace cambiare le situazioni negative. Dopo l’11 settembre siamo stati vicini ai nostri clienti. Stesso discorso per Roma, dove mi chiedono ancora se sono pazzo a investire in Italia adesso. Ora stiamo facendo un investimento importante in Puglia, nel turismo: abbiamo preso, sempre in piena pandemia, un palazzo del Quattracento a Trani, sul porto. Io credo nell’Italia, sta diventando un po’ come l’America dal punto di vista delle opportunità. Ma bisogna saperle leggere e sviluppare”.

Lei ha vestito tantissime stelle del cinema. L’aneddoto che porterà sempre con sé?

“Mi chiedono spesso come si comportano attori e attrici. Io ho con tutti loro un rapporto molto bello. Uno su tutti, Daniel Day-Lewis. È stato uno dei miei primi clienti, l’ho vestito quando ha vinto l’Oscar e il Golden Globe per ‘Lincoln’. Con lui ho un rapporto bellissimo, anche perchè lui non si apre molto come persona. Quando è stato nominato per il premio, mi ha chiamato e mi ha chiesto una mano. Voleva evitare di essere eletto per la quarta volta come l’attore peggio vestito agli Oscar (ride, ndr). La moglie, Rebecca Miller, ci teneva molto. Abbiamo poi scelto i tessuti dello smoking, tutti i dettagli del caso. Volevo che indossasse uno smoking con una punta di blu, molto particolare, e sono riuscito a convincerlo. Poi, durante la serata degli Oscar, tutti i giornali lo definirono come l’attore meglio vestito. Gli scrissi subito un messaggio: ‘Missione compiuta!’. Dopo avermi ringraziato, mi chiese di incontrarci due giorni dopo a colazione. Anziché stare in tv a celebrare la vittoria dell’Oscar, aveva deciso di fare colazione con me. Mi ha insegnato che esistono attori veri, che non hanno bisogno dei riflettori. Da quel giorno, ogni volta che sono a New York, facciamo colazione insieme. È una persona eccezionale”.

Domenico Vacca 2

Anche con Forest Whitaker ha un legame speciale…

“Io l’ho conosciuto quando ha vinto l’Oscar per ‘L’ultimo re di Scozia’. Siamo diventati molto amici, ho fatto il guardaroba per quattro film e per le tre stagioni della serie ‘Godfather of Harlem’, molto bella. Lui ha ricevuto la Palma d’oro alla carriera all'ultimo Festival di Cannes ed è stato molto carino. Mi ha detto: ‘Voglio che mi vesti tu e voglio fare il red carpet con te’. Una cosa molto speciale, un segno di grande amicizia”.

Lei ha avuto una grande amicizia con Ivana Trump, scomparsa recentemente…

“Io e Ivana eravamo amici da 22 anni. È stata una bellissima amicizia. Io amo molto le donne in gamba, di successo. Lei è stata una donna fantastica, in cinque minuti poteva farti un business plan. Secondo me è stata determinante per Donald Trump. Ha contribuito al passaggio di Donald da milionario a miliardario. Molti in Italia l’hanno vista durante le sue apparizioni in televisione, io l’ho vista nel suo ambiente naturale, negli Stati Uniti: era un’icona. Con la sua morte è finito un periodo per New York e per l’America. Era una donna che si è fatta da sola, arrivata dalla Repubblica Ceca da campionessa olimpica, non con la valigia con lo spago. Ha fatto una carriera importante, ha raggiunto traguardi eccezionali. E a mio avviso ha anche toccato la Casa Bianca: anche se non era più la moglie di Donald, ha creato una serie di situazioni che hanno permesso a Donald di esplodere, fino ad arrivare alla Casa Bianca. Io ho perso sicuramente un’amica. L’80 per cento del suo guardaroba era Domenico Vacca. E poi è morta in una maniera ‘stupida’, perché cadere dalle scale a 73 anni è sfiga. Vedere le sue foto sui giornali con i miei vestiti mi ha ricordato ogni dettaglio del nostro rapporto, come erano nati quei capi: è stata molto dura. Lei mi ha insegnato tanto. Ed era l’ultimo baluardo di un certo glamour che secondo me non esisterà più. Anche nei suoi eccessi legati al personaggio, teneva alto un certo tipo di sogno. Oggi siamo nel mondo degli influencer, non ci sarà più una Ivana Trump: è finita un’epoca”.

Lei ha avuto un grandissimo successo. È vero che in Italia si ha la tendenza ad essere invidiosi di quelli bravi? Penso alle grandi polemiche su Flavio Briatore, ma anche su altri imprenditori di successo…

“Io ho un approccio nei confronti del business molto netto, legato all’influenza americana: negli Usa il successo di uno è anche il successo dell’altro. Si fa squadra. In Italia, invece, quando ho annunciato di voler aprire un negozio a Roma, mi hanno subito detto ‘sei pazzo, dove vai’ o ‘lascia perdere’. Stesso discorso per il palazzo storico di Trani. Ci sono approcci diversi. Briatore ha capito che deve girare la gelosia tipica degli italiani. È vero che noi italiani siamo rancorosi. Lui fa un discorso logico e ci gioca un po’. Più sono gelosi, più denuncia questa gelosia e più finisce sulla stampa. Ha capito che la pubblicità gratis viene dal fatto di essere sui giornali in maniera controversa. Se non fosse controverso, probabilmente non se lo filerebbe nessuno (ride, ndr). Io sì, a volte avverto gelosia nei miei confronti, indubbiamente. Ma l’America mi ha insegnato ad essere low profile, alla mano. In Italia, invece, tutti hanno un’attitudine, a volte non giustificata. A volte parlo con degli attori italiani che pensano di aver vinto dodici Oscar, mentre non hanno vinto nulla. È un sistema molto provinciale”.

Qualche sogno da realizzare?

“Di sogni ne ho tanti. Mi piacerebbe continuare a vestire gli attori da Oscar e a firmare il guardaroba di film e serie tv, così da portare il Made in Italy in giro per il mondo. Grazie a Hollywood si ha un impatto immediato sullo stile in tanti Paesi. Io ho fatto la serie ‘Entourage’ con Jeremy Piven e poi il film. Ecco, per spiegare l’evoluzione della moda maschile in America è sufficiente guardare ‘Entourage’: qualsiasi cosa mettessi addosso a Jeremy, il giorno dopo la puntata c’era un’ondata di acquisti. Mi piacerebbe poi vestire Brad Pitt e Leonardo DiCaprio: anche se sono sotto contratto con altri grandi brand, magari un giorno vorranno vestire qualcosa di buono (ride, ndr). Ma, come dicevo, ne ho tanti di sogni. Tra questi, uno che riguarda la famiglia…”.

Lei è sposato con Eleonora Pieroni, una bellissima attrice e presentatrice…

“Sono stato molto fortunato. Lei è molto bella fuori, ma anche molto bella dentro. Dopo venti anni di relazioni con donne non italiane, ho chiuso il cerchio con lei. Da otto anni sono insieme a lei, siamo sposati da due anni e mezzo. Io ho cresciuto il figlio della mia ex moglie, dai 13 ai 26 anni, ma non ho mai avuto un figlio mio.

Stiamo pensando di fare un figlio, poi lei è giovane: a questo punto, con la mia maturità, è legittimo farsi una famiglia. Mi piacerebbe passare del tempo con un figlio e raccontargli la mia esperienza, quella che è stata la mia vita”.

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