Negli anni Cinquanta dell'Ottocento targato Secondo Impero, Alexandre Dumas decise di rivolgere la sua attenzione romanzesca alla Francia rivoluzionaria del 1789. Nato nel 1802, Dumas era un figlio bastardo della grandeur di Napoleone, di cui suo padre era stato compagno d'armi senza esserne seguace, cosa che gli aveva rovinato la vita e la carriera.
Fra la prima restaurazione borbonica del 1815 e la successiva orleanista del 1830 lo scrittore era cresciuto in una Paese tarantolato dalla terribile grandezza che lo aveva preceduto, sedotto e insieme atterrito dall'idea di una sua possibile ripetizione, sempre in cerca dell'impossibile equazione che tenesse insieme le antiche virtù monarchiche e le nuove repubblicane che per un momento ne avevano preso il posto, un'aristocrazia di revenants che si ostinava a occupare la prima fila del proscenio politico, una borghesia in ascesa che non si rassegnava all'idea di restare confinata in platea.
La rivoluzione del 1848 era sembrato l'ultimo atto di una partita cominciata mezzo secolo prima, ma il colpo di Stato di Luigi Napoleone, riportando al centro della scena un cognome antico, Bonaparte, e una pratica inedita, il bonapartismo, aveva sul momento congelato la situazione. Dumas, lo abbiamo visto, aveva la memoria paterna come bussola comportamentale: «Il sangue versato da mio padre sotto la Repubblica non è stato ripagato né dall'Impero né dalla Restaurazione. Ringrazio l'Impero e la Restaurazione perché hanno fatto di me un uomo libero». Lo scegliere insomma come soggetto di romanzo la Francia del 1789, era per lui un modo per sfuggire a un presente che non gli piaceva e a un passato prossimo ancora fonte di amarezze. Tornare agli inizi del grande processo rivoluzionario, quando era ancora tutto in fieri, quando le uova del drago non avevano ancora figliato il mostro del Terrore giacobino, gli permetteva altresì di isolare dei caratteri astraendoli da ciò che poi sarebbero diventati e regalando loro una verità romanzesca che non strideva con la verità storica.
Il risultato sarà questo Ingénue (Robin edizioni, traduzione di Albino Crovetto, introduzione di Marco Catucci, 572 pagine, 26 euro), per la prima volta in italiano in edizione integrale, che è insieme una storia d'amore, quella dell'ingenua, di nome e di fatto, eroina per un giovane paggio del conte d'Artois, ma anche il racconto della giovinezza infelice di Jean-Paul Marat, dei primi passi politici di un gaudente Danton, delle peripezie dello scrittore pornografo Rétif de la Bretonne, il tutto sullo sfondo di una Parigi popolana ribollente di umori e di furori. Tanta carne al fuoco, dunque, rosolata con la solita maestria d'autore.
Nel mini-saggio che precede il volume, A Parigi con Rétif e Marat, Marco Catucci dà al lettore tutte le chiavi necessarie non tanto alla comprensione storica di Ingénue, chiarissima nel suo tracciato come nel suo intreccio, quanto al complesso meccanismo che sovrintende alla fabbrica del romanzo à la Dumas. È noto che il modo di lavorare di quest'ultimo era sbalorditivo: come Napoleone aveva i suoi generali, Dumas aveva i suoi collaboratori; come un pittore o un cuoco del Rinascimento sorvegliava i colori, sceglieva gli ingredienti Sprovvisto di immaginazione creatrice, era superdotato quanto a immaginazione combinatoria: aveva bisogno perciò di un interlocutore, di un pubblico, dello scambio verbale. Alla base c'era un dialogo permanente, di cui si riservava la direzione, la costruzione di una linea generale del racconto, la sua divisione in episodi, la loro messa per iscritto. Nella fattispecie, dietro Ingénue c'è il lavoro preparatorio di Paul Lacroix, le bibliophile Jacob dell'atelier Dumas, nonché il rovesciamento integrale di un romanzo dello stesso Rétif de la Bretonne, Ingénue Sexancour ou la femme séparée, pruriginosa storia di un disastro coniugale Come se non bastasse, Dumas rovescerà la figura stessa di Rétif, tratteggiando una sorta di filosofo rousseauviano con la testa fra le nuvole, lì dove invece la realtà ci consegna uno scrittore sanguigno e libertino, con sentimenti incestuosi nei confronti delle figlie.
Pubblicato a puntate su Le Siècle, fra l'agosto e il dicembre del 1853, Ingénue trasporta il lettore a spasso nel tempo e più di una volta, come annota Catucci, Dumas si diverte a strizzargli l'occhio. C'è un'apparizione di Charlotte Corday, appena diciottenne, ma già in grado di schiaffeggiare Marat, non potendo ancora accoltellarlo nella sua vasca da bagno Quello schiaffo inventato rimanda a quello vero che un assistente esagitato del boia darà alla testa appena mozzata della giovane, le cui guance arrossiranno per questa offesa post mortem Il capitolo in cui Marat fa il suo discorso al Club dei diritti dell'uomo si intitola La Traite des Blancs, come una commedia in voga ai tempi di Dumas in cui si ironizzava su quest'ultimo in quanto negriero letterario e lo si chiamava ora Dumasnoir ora Noiraud
Se «la storia è un chiodo al quale appendo i miei libri» Ingénue è un susseguirsi di chiodi appesi nel
segno dell'eccesso, compreso la Fisiologia del gusto di Brillat-Savarin che Dumas prende in prestito per descrivere le 27 portate di un pranzo in casa di DantonSi comincia a mangiare, pardon, a leggere, e non si smette più.
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