nostro inviato a Bologna
Lì per lì prende fiato. Poi chiede: «Ditemi quali sono le mie canzoni politiche». Guccini parla di Guccini nel posto dove Guccini è diventato Guccini. L'Ostaria delle Dame. Pieno centro di Bologna a pochi passi dalla lunga via Castiglione di fianco alle Due Torri. Nel 1970 insieme con Padre Michele Casali fondò questa locanda praticamente in cantina, così piccola che «c'era così tanto fumo che non riuscivamo quasi a vederci». Si mangiava (con abbondante Lambrusco). Si giocava a carte (anche il tarocco bolognese). E si cantava. La prossima settimana esce una raccolta con i concerti acustici lunghi e fascinosi registrati tra l'82 e l'85, con Flaco Biondini alla chitarra e ogni tanto alla voce, e poi il pubblico così vicino che si sentono le voci. «Questi concerti non sono importanti come il ritrovamento dei rotoli del Mar Morto ma un significato ce l'hanno», dice lui.
Quando è sceso in questo localetto ristrutturato da poco, si è commosso di fianco agli amici di una vita «felici perché una volta tanto ci si rivede tutti insieme senza essere a un funerale». Qui venivano tutti, «da Giancarlone a Bonvi, che non aveva certo fatto il pieno di succhi di frutta, e mi faceva ciuf ciuf! per chiedermi di suonare La Locomotiva». Ecco, La Locomotiva è una di quelle canzoni che hanno contribuito a fare di Guccini un «cantautore politico», forse il più politico di tutti. «Ma no, Pietrangeli o anche Lolli erano politici, io no. E La Locomotiva nelle mie intenzioni voleva imitare il tipo di canzone anarchica. Credo di aver sempre scritto canzoni esistenziali, non politiche. Siete voi giornalisti che dovete etichettare tutto per forza». Anche Auschwitz, che lui incise nel 1967, fu considerata una canzone politica: «Però i recenti avvenimenti (il caso dei tifosi laziali - ndr) quel brano dimostra di avere ancora qualcosa da dire. In ogni caso, fu un brano di rottura. Tutti gli altri cantavano d'amore, io di Auschwitz. Infatti, quando la incisi, uno dei tecnici in sala di registrazione mi disse: «Se vuol fare questo mestiere, forse è meglio che cambi repertorio». Risate.
In realtà, ora che scrive romanzi e non canta più, Guccini è rimasto lo stesso: un burattinaio di parole, come scrisse in una canzone. Gioca con le parole e con i ricordi, certifica la nascita dei cantautori come risultato di «Bob Dylan e degli chansonnier francesi», sfoggia cultura rara (ad esempio l'influenza della lingua tedesca nel nostro vocabolario) e poi conferma che forse sì, i rapper sono i nuovi cantautori: «Alcuni di loro hanno testi interessanti perché non parlano solo d'amore. Sembra quasi che vadano paralleli agli improvvisatori toscani, che hanno una mostruosa abilità nel creare poesie in un baleno».
Insomma, in questo nuovo Guccini c'è un'altra visione di quello vecchio. «Mi chiede se ascolto le mie vecchie canzoni? Per l'amor di dio... Però ce ne sono alcune che mi sembrano venute meglio. Ad esempio, Amerigo o Van Loon credo siano migliori di Auschwitz oppure Dio è morto, ma la gente ricorda di me sempre i soliti brani». In fondo, ora che ha compiuto 77 anni ed è nella storia della musica leggera italiana, Francesco Guccini ha davvero il disincanto necessario per raccontarsi senza celebrarsi, infiorettando diironia i ricordi. «Io autore a Sanremo? Non pongo limiti alla Provvidenza. Una volta scrissi un brano per il Festival, ma me lo cambiarono e poi fu cantato da Caterina Caselli e Gigliola Cinquetti. Si intitolava Una storia d'amore e fu eliminata al diciassettesimo Sanremo. Mezzo secolo fa.
Ora il tenero Guccini vive quasi sempre a Pavana dove «gli extracomunitari sono più integrati che altrove. Due marocchini hanno persino vinto il torneo di briscola. Però il premio era un prosciutto, quindi in realtà non hanno vinto nulla...», sorride da autentico signore di campagna lontano da qualsiasi pinzillacchera giornalistica. E non tornerà sui propri passi: «Cantare in pubblico era bello, ma ogni volta era una fatica emotiva e fisica, due ore in piedi. E dire che ho iniziato a far concerti da seduto... Ma no, non tornerò più a cantare dal vivo».
In fondo, il Guccini di oggi è la naturale evoluzione del Guccini di ieri, ispirato e legato alla tradizione, quello diventato grande anche in questa piccola Ostaria dove a notte fonda il fumo era così fitto che si poteva solo cantare parole suonando una chitarra.
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