da Roma
Andare al Roma Film Festival è come tornare al liceo.
Ogni mattina si ha un motivo (o più di uno) per marinare.
Ci si lamenta di tutto. Si entra un'ora dopo. Si punta a sopravvivere. Poi, appena è finito, scatta la nostalgia.
Il «Festaval», per la sua duplice natura di Festival e di Festa, è pieno di difetti. A scuola erano i bagni maltenuti, il riscaldamento che non funzionava, i professori coi tic. Al RFF la desolazione di certi giornalisti («Oh, in sala stampa nun cè no straniero, nun ce caga più nessuno»), l'aria condizionata mal calibrata («Io c'ho il golfino ma muoio di freddo lo stesso», «forse vogliono farci morire prima che vediamo i film»), le code funestate dai logorroici sempre pronti ad attaccare bottone con chiunque sia disposto ad ascoltare la triste storia del film mai realizzato della loro vita che stanno trasformando in romanzo perché sperano che gli editori siano meno miopi dei produttori cinematografici (campa cavallo che l'erba cresce).
Altri disservizi da registrare sono le attricette strappone, le scie chimiche di profumi, gli irriducibili rasta.
Nota dolente, il ristoro: guai a lasciarsi sedurre dagli stand enogastrobio del Foodvillage, che oltre a un'offerta qualità/prezzo irragionevole si sono inventati anche una folle complicazione: niente contanti, si paga con una card, da ricaricare di «dobloni» (santo dio!). E meglio astenersi dall'ordinare un gin tonic.
Futili motivi, a posteriori.
Per fortuna, però, ci sono «i filme».
Poltrone comode, schermi giganti, sonoro impeccabile.
È la magia del cinema che diventa abitabile, le sale piene o semi piene, gli urletti per il Richard Gere di turno sullo scalcinato red carpet, i sempre sul pezzo accenni di fischi, gli applausi scroscianti e la gara tra gli spettatori a chi individua il vip seduto in disparte che vorrebbe restare in disparte.
Non male il programma: i film scelti sono meno pretenziosi di quelli della maggior parte dei festival, e anche quelli brutti, o banalmente mediocri, sono tendenzialmente girati in maniera tale che allo spettatore non venga il mal di mare, quasi tutti hanno una trama comprensibile e le astrusità si contano sul palmo di una mano. Nel complesso, un buon livello, con picchi di assoluta godibilità come il biopic con Benicio del Toro su Pablo Escobar, il nuovo film di Marco Risi (con lo zampino di Paolo Sorrentino), Tre tocchi , sull'autoreferenziale frustrazione e ambizione dei giocatori della nazionale attori, Julianne Moore in Still Alice , l'avvincente Gone Girl di Fincher, lo scomparso e inimitabile Philip Seymour Hoffman in La Spia di Anton Corbijin, il surreale e delizioso Tusk , di Kevin Smith, interpretato da un commovente Michael Parks.
Domanda: ma perché visto il successo della proiezione di The Knick , la nuova serie tv targata Steven Soderbergh e magistralmente interpretata da Clive Owen, la cui ultima puntata (anche se di un solo giorno) è
stata proiettata in anteprima mondiale, non unire il Roma Fiction Fest e il Roma Film Festival dando vita a un solo RFF che diventi veramente l'occasione di una festa dell'intrattenimento con un occhio alla qualità?@cubamsc
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