Prima o poi chi fa il mestiere di critico e di curatore si trova davanti a un problema che si trasforma in una tentazione: fare il punto sull'arte del proprio Paese. Da Celant a Bonito Oliva, da Bonami al sottoscritto ci abbiamo provato più o meno tutti, e tali tentativi hanno portato risultati contraddittori per via del taglio parziale, del prevedibile gioco tra chi sta dentro e chi fuori, consapevoli comunque che una mostra perfetta, che accontenti tutti, è praticamente impossibile.L'arte italiana, in particolare quella degli ultimi 50 anni, è materiale magmatico, incerto; si lega a doppio filo con la società per qualcuno, la rifiuta e la supera per qualcun altro, prestandosi dunque ad almeno due possibili linee di lettura. Vincenzo De Bellis, 39 anni, curatore della penultima generazione, formatosi sul ring del mercato con l'esperienza di direttore del Miart, tenta un esperimento non comune e ambizioso. Non una rassegna compatta e lineare, ma un insieme di sette mostre incastonate l'una nell'altra come matrioske sotto il titolo di «Ennesima», che prende spunto da un'opera di Giulio Paolini, e incentra lo sguardo sull'arte italiana dagli anni '60 a oggi, da quando cioè registriamo il definitivo ingresso nei temi della contemporaneità. Inaugura alla Triennale di Milano il 25 novembre e resta aperta fino al 6 marzo.Si direbbe un'operazione di meta-linguaggio, di riflessione del linguaggio su se stesso, e non di una semplice esposizione lineare o storicistica di opere. De Bellis individua sette modalità dell'arte di fare mostre, attribuendo così in maniera esplicita un ruolo pesante e creativo al mestiere del curatore. Il primo nodo, anche il più ovvio, è quello della collettiva tematica, che permette di spaziare in senso trasversale mettendo insieme artisti di ambiti diversi, dall'Arte Povera di Luciano Fabro al neoconcettuale di Lara Favaretto, studiando in particolare il rapporto con la tradizione e la sua eredità nell'ambito formale che ci caratterizza. Una sezione dove è centrale il tema dell'iconografia, non necessariamente dell'immagine.Segue l'analisi di un movimento in prospettiva storicistica: la scelta cade sulla Poesia Visiva e in particolare sulle opere del Gruppo 70, ultima espressione delle neoavanguardie che non a caso sta registrando un forte interesse sul mercato. Si parla di artisti che rifiutano la comunicazione di massa, ritenuta banale e stereotipata, utilizzando collage di parole per una sorta di sistema controinformativo. Importante in tal senso il recupero di figure chiave come Gianni Emilio Simonetti e Giuseppe Chiari.È poi la volta della mostra personale, e qui si poteva in fondo premiare chiunque, poiché ogni opzione può essere pretestuosa. Stupisce, e parecchio, che la scelta sia caduta su Alessandro Pessoli, che si esprime prevalentemente con la pittura figurativa, non certo un artista decisivo, eppure apprezzato dalla critica. Inevitabile riflettere quindi sul medium, evoluzione del termine «tecnica», che in questo caso è la performance degli anni '70, in particolare nella forma del tableau vivant per cui si prevede la messinscena di storiche esperienze ad esempio di Gino De Domincis, Vettor Pisani o Fabio Mauri, artisti che hanno segnato con le loro rappresentazioni tra finzione e realtà un'epoca rimessa oggi al centro dello sguardo. Meno spettacolare, ma altrettanto utile, è la sotto mostra di documentazione e archivio spostata più avanti nel tempo, il periodo tra 1989 e 1992, incentrata sul gruppo milanese di Via Lazzaro Palazzi al 25º anniversario della collettiva Avanblob nel primo spazio di Massimo De Carlo e dei primi numeri della rivista indipendente Tiracorrendo. Allievi a Brera di Luciano Fabro, questi ragazzi rappresentano la cesura tra un'idea di arte tutta mentale con la piacevolezza del fare, il recupero di alcune tradizioni stilistiche e soprattutto l'affermarsi di una microgenerazione. Sempre a proposito di generazione, De Bellis non può sottrarsi al compito più militante del critico, ovvero individuare le emergenze del presente e, forse, le promesse del futuro. Così seleziona alcuni giovani artisti italiani nati tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80, che rappresentano la possibile scommessa in un panorama, il nostro, sostanzialmente asfittico e povero di proposte.
Per finire con quattro interventi site specific di altrettanti artisti Garutti, Bonvicini, Vitone e Bartolini - che si inseriscono nell'architettura e nell'ambiente con lavori ai limiti del mimetismo.Non una mostra come tutte le altre, ma un progetto complesso, articolato, non semplice, destinato a far discutere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.