Edgar Lee Masters: "A ben pensarci, ogni lavoro è una forma di schiavitù"

Le chiatte sul Mississippi, i neri, i bianchi... E per tutti la condanna a dover produrre

Edgar Lee Masters: "A ben pensarci, ogni lavoro è una forma di schiavitù"

Affrettandomi verso l'approdo senza far caso a dove mettevo i piedi inciampai e caddi, facendomi male. Mentre zoppicavo sul ponte fui avvicinato da un uomo, che mi offrì gentilmente un unguento ricavato dall'olio che si depositava sulla superficie dell'acqua nei pozzi di sale del Kentucky, nonostante ogni sforzo per evitarlo e con grave danno all'industria estrattiva del sale. L'uomo aggiunse che si stavano facendo esperimenti con quell'olio per il suo utilizzo nell'illuminazione. Come unguento era comunque miracoloso, e in pochi giorni smisi di zoppicare.

Sia sull'Ohio che sul Mississippi incontrai molte chiatte legate insieme e cariche di mucchi di carbone, estratto dai fianchi delle colline degli Allegani. Scendevano il corso dei fiumi fino a New Orleans.

Avevo trovato carbone in diversi punti della mia tenuta in Illinois, talvolta affiorava in superficie; ma in Illinois non era sorta ancora una vera industria mineraria.

Il Mississippi offriva un paesaggio meraviglioso. Il fiume era disseminato di isole e le imbarcazioni seguivano le sue innumerevoli anse (). Il battello si fermò a caricare legna in una piantagione creola. Si snodava davanti a noi una processione di carri trainati da muli e guidati da persone di colore, che ridevano e scherzavano tra loro. Erano schiavi che trasportavano legna alle fabbriche di zucchero. Presto ci ritrovammo di nuovo sul fiume silenzioso, che si era ora ampliato fino a raggiungere le dimensioni di un grande lago.

Poi iniziammo a scorgere campanili, una cupola, gli alberi di numerosi vascelli, barche a vapore e alti camini. Raggiungemmo infine l'argine di New Orleans; attraccammo e scesi a passeggiare per le strade della città. Non faceva più caldo che in Illinois, e di notte soffiava una fresca brezza che proveniva dal porto e dal golfo. Quella città di cinquantamila abitanti mi affascinò immediatamente.

La sera andai alla piazza d'armi dove suonava una banda militare. Appena fuori città, durante il giorno si disputavano delle corse. I caffè erano pieni di persone che fumavano e bevevano, giocavano a biliardo e a domino. Signore in abiti sgargianti sedevano sulle balconate, commentando la scena e facendo osservazioni sui giocatori e i passanti. Si parlava dovunque francese e si vedevano dappertutto le tipiche bellezze creole, con occhi neri, lunghe ciglia di seta e la pelle chiara e luminosa soffusa di rosa. Il giorno dopo andai alla cattedrale spagnola; sotto i portici, gruppi di neri anziani chiedevano l'elemosina. C'erano candele sull'altare e dipinti delle stazioni della Via Crucis sulle colonne e sui confessionali dove le belle creole erano inginocchiate a fianco di persone di colore di pura discendenza africana. Non vidi mai neri trattati peggio che in Illinois (). Visitai il mercato degli schiavi e assistetti di nuovo alla vendita all'asta di esseri umani (). Se persino le ambizioni politiche avrebbero potuto restare invischiate fino a venirne distrutte in quel groviglio di esseri umani bianchi e neri che si agitavano intorno alla carcassa dell'esistenza, quale sarebbe stato il mio destino come individuo immerso in quell'ostilità razziale, tra le forze politiche ed economiche che l'avevano generata?

La domanda! Dove c'è una domanda dev'esserci un'offerta, e tutto deve cedere il passo a quanto serve per produrre quell'offerta: terra, manodopera e, perché no, schiavitù. A ben pensarci, ogni lavoro è una forma di schiavitù. Apprendisti, braccianti agricoli, operai delle fabbriche... sono tutti schiavi. È destino che tutta quella massa di lavoratori in difficoltà debba essere sacrificata nel grande dramma della produzione di abiti, cibi e abitazioni per quelli che possono pagare. Ma è il cotone ad aver bisogno di sempre più terra. Il territorio degli Stati Uniti, i grandi terreni pubblici e demaniali degli Stati sia al Nord che al Sud non dovevano forse essere sfruttati per il comune beneficio degli americani, investendoci le loro proprietà, che si trattasse di bestiame, attrezzi o schiavi? L'aria era calda e immobile. Tutto intorno a me sospirava come le squame brillanti e mortali di un rettile velenoso. Ero malato nell'animo. Ero sopraffatto da un terribile senso di solitudine. Ero coinvolto in quelle drammatiche traversie americane senza alcuna colpa da parte mia. Cosa dovevo fare? Sì, la mia ambizione era di diventare ricco. C'era molto da fare. E poi c'era la mia fattoria nell'Illinois. Perché ero lì, dopotutto? Era tutto un sogno? Mi sarei ridestato e sarei tornato al mio posto, al mio dovere. Cos'altro potevo fare? Così andai al molo a cercare un battello per St. Louis.

Estratto da I bambini

del mercato di Edgar Lee Masters, traduzione

e cura di Massimo Ferraris, Elliot edizioni.

© 2021 Lit Edizioni s.a.s.

Per gentile concessione.

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