Erri De Luca, il seme (della scrittura) si è inaridito

Brevità, ironia involontaria e banalità: il marchio di fabbrica di un autore in lotta continua. Con la vita

Erri De Luca, il seme (della scrittura) si è inaridito
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Io confesso: i libri di Erri de Luca non me li perdo mai. Appena ne esce uno corro a prenderlo. Anzitutto si prende sul serio, talmente sul serio, che fa sbellicare dalle risate, con tutti quei suoi librini rigorosamente di cento paginette tutti editi da Feltrinelli come quelli di Baricco che non ci fosse il nome rischieresti di confonderli, se non fosse che Baricco ha quella baricchità che guarda il mare, De Luca è un contadino in lotta continua con il suo stesso scrivere i suoi librini che non sa mai neppure lui perché (a un certo punto lo dice, ma non vi spoilero l'articolo).

Stavolta parla dell'essere padre, il librino si intitola A grandezza naturale (Feltrinelli, of course), e è come sempre un volumino a grandezza naturale di De Luca, smilzo smilzo, ma sulla paternità ragiona molto su Abramo e Isacco, De Luca è ancora fermo lì. Quelle pagine le potete saltare, perché non è quello il bello. Perché ogni storiella deluchiana è un pretesto per parlare di sé e della sua lotta continua con la sua idea di Erri De Luca. È padre De Luca che parla dell'essere padri? No. «Non sono padre, il mio seme s'inaridisce con me, non ha trovato una via per diventare». Proprio così, non ha trovato una via. Magari non gli hanno insegnato come nascono i bambini, non so. Che il suo seme s'inardisca con lo lui non si stenta a credere e darwinianamente è una fortuna, morto De Luca non ci saranno deluchini.

Tuttavia, siccome ha detto seme, attacca subito la metafora contadina, perché non avendo usato il suo seme per diventare padre ha piantato semi. Sentite bene: «Per un malinteso compenso ho piantato semi in terra, minuscoli granelli sprofondati sotto una compatta massa. Come hanno saputo da che parte dirigere il germoglio? Sepolto sotto una valanga, il seme sa la più diretta linea di salita per affiorare all'aria. Ha iscritta in sé la notizia della legge di gravità e per contrasto cresce in direzione opposta». Mentre De Luca si fa queste domande da botanica primitiva, ci invita a riflettere sul suo seme, che se non è inaridito è germogliato verso il basso (della narrativa senza dubbio). «C'è in noi la sua sapienza? Se esiste non la riconosco». E ci credo, Erri, cosa vuoi riconoscere. Ma andiamo avanti, perché c'è di meglio.

Erri ci tiene a raccontarci i processi subiti, fin dalla gioventù, tutti ingiusti, perché per esempio lanciava sampietrini contro la polizia. All'epoca la lotta continua era politica, in un certo senso era molto meglio. Avesse almeno lanciato semi. Te lo racconta come se avesse fatto lo sbarco in Normandia, sentendosi un eroe. I poliziotti, per esempio, sono le truppe nemiche, lui il salvatore della patria. «Come da studio balistico, il lancio aveva una gittata di circa dieci metri, dunque la distanza tra noi e le truppe era ravvicinata. Questo comportava che il tiro di sbarramento spettasse alla prima fila. Fu una dinamica imparata facilmente. Ogni corteo aveva i suoi disselciatori. Roma era ancora largamente lastricata di sampietrini, una riserva a portata di mano. È la stata la mia prima lezione di geologia. A Napoli, da dove provenivo, si camminava sopra il basolato di vesuviano. La lava era finita sotto i piedi, ma i blocchi erano grandi, nessuna possibilità di uso improprio». È per questo che Erri è venuto a Roma, per lanciare sampietrini. Veramente epico, commovente, oltre che una lezione di geologia, da aggiungere a quella di botanica. Già qui, diciamo la verità, per i deluchiani vale l'acquisto del libro (mai incontrato uno ma esisteranno, mica lo pubblicheranno per beneficienza).

Ma siccome questo libro, oltre a essere un trattato di botanica, di geologia e di paternità, è anche un thriller, c'è anche un mistero, che lo stesso autore non riesce a risolvere, ma è comunque interessante, perché c'è della psicanalisi, dell'autoanalisi. Erri infatti si domanda: «Capita di ricevere l'insolubile domanda sul perché si scrive un libro. Le possibilità di risposta formano un genere letterario che svaria dall'impellente slancio creativo alla meno impegnativa giustifica. Mi avvicino di più alla seconda, devo giustificarmi. Uno scrittore sta anche da imputato di fronte al lettore. Fattispecie del reato è lo spreco del suo tempo. Da qui la domanda indiscreta sul perché di un libro».

Sullo spreco del mio tempo ti posso rispondere io Erri: ti ho letto perché mi pagano, me lo ha chiesto Alessandro Gnocchi, il capocultura del Giornale, «leggiti De Luca». Sullo spreco di tempo degli altri tuoi lettori non lo so, saranno quelli che sono venuti a Roma per staccare i sampietrini. E poi dicono che le buche sono colpa della Raggi.

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