Saremo anche in una età post-ideologica, come si dice, ma l'ideologia continua a condizionarci come quando imperava. Ovviamente l'ideologia di sinistra, progressista o marxista (che esiste sempre, anche se non dichiarata). Neruda, Picasso, Sartre, per fare nomi famosi, non furono penalizzati perché erano «comunisti». Pound, Céline, Borges, per fare nomi altrettanto famosi, lo furono, essendo considerati «fascisti», «razzisti», «reazionari». E l'ultimo ci rimise anche il Nobel.
Oggi ciò avviene paradossalmente, o forse proprio in quanto l'ideologia comunista e in genere «di sinistra» è in profonda crisi d'identità, soprattutto perché smentita dai fatti e dal suo fallimento pratico. Con la sua crisi s'intreccia quella della modernità e pot-modernità: nonostante «le magnifiche sorti e progressive» chi non si lamenta, non si duole, non protesta nei confronti del mondo moderno? Chi non ha in mano uno smartphone, simbolo tascabile della modernità, che lo collega costantemente a tutto il mondo? Ma non si può dire che si sia tranquilli, soddisfatti e felici. E in Rete e sui mass media le critiche abbondano da parte di gente comune, ma anche di intellettuali, sociologi, psicologi che dopo aver osannato l'odierna tecnologia digitale ora se ne dico pentiti... Critiche che inconsapevolmente riverberano le linee generali di quelle dei pensatori anti-moderni degli anni '20-'40 e che oggi sono tornate d'attualità, in primis Spengler, dato che soltanto il loro punto di vista, e non certo quello «progressista», riesce e capire e interpretare le radici della modernità e a criticarla nei suoi aspetti fondamentali di cui le attuali tecnologie sono l'ultima manifestazione. È difficile accettare un presupposto: noi non usiamo la macchina, ma è la macchina che ci usa. E ci modifica.
Uno di questi critici radicali fu Julius Evola (19 maggio 1808-11 giugno 1974) di cui ricorrono i 120 anni della nascita. L'eredità culturale di un filosofo si misura sull'efficacia del suo pensiero, sul valore di quel che teorizzò, sull'attualità delle sue idee in positivo e in negativo. E il bilancio che oggi i può fare del multiforme pensiero di quello che venne definito «il filosofo proibito» è, oggettivamente, positivo, al di là dei pregiudizi negativi di chi non ha letto un solo rigo dei suoi scritti e parla per sentito dire, frasi fatte e luoghi comuni diffusi da decenni dalla intellighenzia dominante.
Evola fu tantissime cose. Artista oltre il dadaismo e filosofo al di là dell'idealismo, esoterista e tradizionalista al di là di René Guénon, orientalista e critico della modernità, metapolitico e studioso del simbolismo, teorico di un razzismo secondo la tripartizione classica corpo-anima-spirito e analizzatore della società e del costume. Il filo conduttore fra tutti questi aspetti del suo pensiero è una «visione del mondo» spirituale e metafisica. Se non si capisce questo, non si capisce Evola e perché disse, scrisse, teorizzò, fece certe cose, perché criticò o apprezzò certi aspetti del mondo o del pensiero. Oggi la sua valenza principale consiste nell'aver dato indicazioni ancora valide e costruttive per «sopravvivere alla modernità». Modernità che condiziona la vita di tutti.
Dopo il 1945, Evola si accinse a scrivere quasi contemporaneamente tre opere che dovevano servire come «manuali» per agire in un mondo che non era quello precedente la Seconda guerra mondiale: Cavalcare la tigre per chi non voleva occuparsi di «politica», Gli uomini e le rovine per chi voleva invece occuparsene in una particolare modalità e Metafisica del sesso, in cui si presenta l'eros su un piano che è un modo per affrontare l'Età Oscura, il Kali Yuga indù. Uscirono, per ragioni editoriali, rispettivamente nel 1961, nel 1953 e nel 1958, il che fece sorgere incomprensioni e confusioni sui loro diversi intenti che però oggi non dovrebbero sussistere più.
Sono opere ancora validissime nelle loro linee teoriche e generali, che valgono proprio alla luce dell'evoluzione/involuzione della modernità. Cioè sul piano esistenziale, culturale e spirituale del singolo, della decadenza sociale, di quella etica della politica e della secolarizzazione delle religioni ufficiali. C'è qualcuno, al di là dell'euforia per i gadget che usa, che possa parlar bene del mondo in cui vive, che ne sia pienamente soddisfatto? Il disagio è esistenziale, altrimenti non si vedrebbe la follia esplodere su tanti piani diversi, in Italia in particolare. Quel che manca ormai in tutti è l'egemonikon, il sovrano interiore. E ciò induce alle brutture cui assistiamo quotidianamente fra gli adulti, i giovani e i ragazzini, la totale anarchia potenziata proprio dalla tecnologia alla portata tutti.
Soprattutto in Cavalcare la tigre Evola indica due principî tratti dalla sapienza orientale: «Fai che quello su cui non puoi far nulla, nulla possa su di te» e «Trasforma il veleno in farmaco». Come si devono intendere? In un mondo in cui il singolo è nulla contro la Megamacchina (per dirla alla Latouche) e può venire stritolato si devono adottare strategie fattuali, psicologiche e spirituali che impediscano di essere travolti e annullati, volgendo i mali della società al contrario per quella che Evola definisce una «liberazione interiore» o «superiore». Essere come le salamandre che passano attraverso il fuoco indenni, per usare un'immagine di Ernst Jünger nel suo Trattato del ribelle.
Non chiudersi in una torre d'avorio rifiutando il mondo, ma affrontare il mondo senza esserne condizionati, deturpati, distrutti interiormente, a differenza della gran massa che ci circonda ornai diventata paranoica e schizofrenica, come gli episodi di cronaca giornaliera ci dimostrano.
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