Club Dogo: "Facciamo rap tamarro, non siamo simboli"

Nel nuovo cd cantano con Arisa e rispolverano il superclassico "Lisa dagli occhi blu"

Club Dogo: "Facciamo rap tamarro, non siamo simboli"

Già a vederli uno di fianco all'altro, Don Joe Guè Pequeno e Jake La Furia, così coperti di tatuaggi e armati di parole chiare, i Club Dogo spiegano il senso del nuovo disco Non siamo più quelli di Mi fist : «Non siamo portavoce di una generazione, a noi interessa fare bella musica tamarra e trovare bei giochi di parole. Ma i ragazzini è meglio che ascoltino i loro professori». Chiaro no: e se lo dice uno dei gruppi guida del rap italiano il senso non è da sottovalutare. Dopotutto i Club Dogo non ascoltano nessuno, se ne fregano delle convenzioni e questo disco, bello tosto, lo conferma: c'è un featuring di Arisa nel primo singolo Fragili o di Entics e Lele Spedicato dei Negramaro, poi campionamenti di Zucchero ed Eros Ramazzotti e persino una citazione di Lisa dagli occhi blu di Mario Tessuto, uno che più lontano dal rap non si può. A dimostrazione che oggi l'hip hop è davvero la musica con meno confini.

Però, cari Club Dogo, questa canzone, dedicata a una prostituta, sembra un modo per placare le accuse di misoginia che vi accompagnano da un bel po'.

«No, non dobbiamo giustificare nulla, nella nostra carriera abbiamo soltanto detto ciò che tanti sussurravano. E poi sono state le femministe ad accusarci di misoginia. Che è come essere accusati di bestemmiare dai talebani».

Quanto a intransigenza, anche una parte di chi segue il rap lo è.

«È un fenomeno che riguarda tutta la musica. Ma forse nell'hip hop italiano, che è molto provinciale, si sente di più. Ma a noi non ce ne può importare di meno e facciamo quel che vogliamo».

Anche la tv.

«Anche se, dopo Club Privé Ti presento i Dogo , Mtv non ci ha più richiamato. Ma forse dipende dai mutamenti societari e quindi magari tutto è stato rinviato».

Potrebbero chiamarvi per un talent.

«Non ci sarebbero problemi. Ormai i talent show fanno parte della musica se non altro perchépiù della metà del fatturato discografico italiano viene proprio da lì. Criticarli non ha più senso: sono diventati una parte della gavetta di tantissimi musicisti e artisti».

Anche il Festival di Sanremo lo è da mezzo secolo.

«Ma lì noi non potremmo mai andarci, è troppo per noi. Sembra uno spettacolo vecchio, non in linea con gli standard di altri spettacoli musicali europei o anche italiani. Va bene che le “schifezze” ormai le abbiamo fatte tutte, per sperimentare e diventirci come ad esempio cantare con i neomelodici, però all'Ariston no».

Un gran parte del disco è stata preparata agli Speakeasy Studios di Los Angeles.

«E per noi andare là è stata una scoperta».

Perché?

«Non siamo americanofili, per carità. Ma quella è una città dove c'è tutto a qualsiasi ora. E, se sei bravo, spacchi. Lì importa chi è più bravo. Non come in Italia dove importano altre cose».

A proposito l'Italia com'è?

«Oggi è il paese del “forse”. E vedremo come va a finire».

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