«Nel 1921, Kenji Miyazawa lascia una famiglia benestante per trasferirsi a Tokyo, dove vive per 8 mesi. Più tardi, in estate, riceve un telegramma dalla famiglia e, preoccupato per la salute della sorellina Toshi, ritorna a casa, ma ad attenderlo vi è invece il padre Masajiro. Kenji scopre che il padre gli ha mentito circa le condizioni della sorella, preoccupato per la vita autonoma e lontana del figlio. Kenji frattanto non ha ancora trovato la sua aspirazione di vita: prova a fare le korokke (crocchette) assaggiate a Tokyo, e le condivide con la famiglia. Capisce così che condividere la propria felicità gli è fondamentale, e seguendo il desiderio di Toshi, Kenji diventa un insegnante in un nuovo istituto scolastico a indirizzo agrario».
Ebbene sì, in Giappone esistono anche le marchette in forma di manga. In questo caso, nel 2017 pubblicizzavano certe crocchette... Se lo sapesse, il povero Kenji Miyazawa s'incazzerebbe come un asura, che non ha nulla a che fare con il gustoso tempura. Gli asura, nella Ruota dell'Esistenza che rappresenta alcuni principi basilari del buddhismo, sono demoni che si macerano nell'invidia e nell'odio provato per i deva, creature che conducono un'esistenza perennemente lieta. Ma siccome i giapponesi sono giapponesi anche quando fanno le marchette, nella citazione (dal... come chiamarlo? abstract?) sopra riportata, crocchette a parte è tutto vero. È vero che Kenji, in attrito con il padre, titolare di un banco dei pegni che s'arricchiva con la disperazione dei contadini, a 25 anni se ne andò a cercar fortuna a Tokyo. È vero che amava moltissimo la fragile sorella Toshiko, in morte della quale scrisse i suoi versi più belli. È vero che insegnò agraria in un istituto...
A Tokyo, il provinciale Kenji, nato ad Hanamaki, nella prefettura di Iwate (che è un po' come dire l'Alto Adige rispetto a Roma), si recò, trovandosi subito come un pesce fuor d'acqua, per diffondere la dottrina della scuola buddhista del monaco Nichiren vissuto nel XIII secolo, basata sul Sutra del Loto. Perché di declinazioni del buddhismo ce ne sono tante (il non amato genitore del Nostro, ad esempio, propendeva per il più diffuso buddhismo della Terra Pura). Invece di autori trasversali e sincretici e aperti a ogni influsso culturale come Miyazawa Kenji ce ne sono davvero pochi. Mise insieme l'agraria e la mineralogia, lo studio del violoncello e il vegetarianesimo, il collezionismo dei dischi e la passione per le stampe in stile ukiyo-e, la quarta dimensione di cui parlano Einstein e Minkowski e la concezione di Bergson dell'immagine come medio fra idealismo e realismo...
Fu poeta, e la raccolta La primavera e gli Asura fu l'unica opera che pubblicò in vita, perché tutto il resto lo dobbiamo alla cura e alla benevolenza di suo fratello Seiroku. Ma è soprattutto in forma di prosa che esplode la sua creatività, tra favola e apologo esopiano, satira e racconto morale. Il tutto si basa su un concetto che lo studioso Hagiwara Takao ha definito dell'ikukan, vale a dire degli «spazi differenti». L'universo letterario di Miyazawa Kenji è una galassia che contiene molti mondi, e non a caso vi ricorre spesso il nome della «Via Lattea», la nostra galassia, la via del latte così battezzata dai Greci che nutre l'infante, come Era allattò Eracle. E i suoi dowa (letteralmente, «racconto per bambini»), sono per l'appunto rivolti ai piccoli.
Ne abbiamo alcuni esempi nel volume Matasaburo del vento e altri racconti (Marsilio, pagg. 253, euro 16). «Questa poetica - scrive il curatore Alberto Zanonato nell'Introduzione - nella quale il lettore italiano potrà forse riconoscere degli echi quasi pascoliani, non va interpretata come una strategia escapista, quanto come un riflesso dei concetti buddhisti di corrispondenza e interpenetrazione di tutte le cose in cui egli credeva». L'evocato Pascoli, così scriveva infatti in Il fanciullino: «È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia» .
Miyazawa Kenji si rivolgeva ai fanciulli perché era un fanciullo. Temeva, sperava, godeva e piangeva come loro. Proprio nel racconto che dà il titolo alla raccolta, Matasaburo è il nome di una divinità apportatrice di vento che alcuni ragazzini attribuiscono a un loro nuovo compagno di scuola: è uno straniero, ha poteri sovra-umani, fatica a integrarsi con gli altri, e infine svanisce come un refolo di vento. Anche l'Homoi di Il fuoco della conchiglia è un fanciullo, ma un fanciullo di coniglio, e i poteri che acquisisce magicamente (grazie a una gemma che fa pensare all'anello tolkieniano) dopo aver salvato la vita a un'allodola, molto umanamente gli danno alla testa. Giganti selvaggi, volpi vestite da dandy occidentali, foreste parlanti, viaggi onirici, pozioni che rimpiccioliscono chi le assume...
Fra Hans Christian Andersen, Lewis Carroll e i racconti mensili del maestro Perboni incastonati da Edmondo De Amicis in Cuore, Miyazawa Kenji s'avventura anche sul terreno dell'oltre-morte in I piedi nudi di luce, dove l'infausta premonizione del fratellino minore, Narao, porta il maggiore, Ichiro, a battagliare contro le preponderanti forze ostili della natura e del destino. Fino all'apparizione di una figura che toglie il peccato del mondo con queste parole: «Non abbiate timore.
Le vostre colpe, paragonate alla forza dell'enorme virtù che avvolge questo mondo, assomigliano a piccole gocce di rugiada sulla punta delle spine di un cardo confrontate alla luce del sole. Non c'è nulla di cui aver paura». Così il buddhismo di Miyazawa Kenji giunge persino alle soglie del cristianesimo.
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