È possibile cambiare il passato? La risposta è "no", almeno per il momento. La scienza, sebbene i suoi innumerevoli tentativi, non è riuscita nell’impresa e la famigerata macchina del tempo è ancora un oggetto fantascientifico da cercare tra le pagine di un libro o tra i fotogrammi di un film. Ma i fedelissimi del politicamente corretto hanno trovato una soluzione per sopperire a questa mancanza: "censurare", ignorando che il problema esista. Come se abbattersi sui prodotti culturali possa cancellare dalla storia.
Questa "strategia" ha mietuto già le prime vittime. Il colossal cinematografico "Via col Vento", vincitore di 8 premi Oscar nel 1940, è stato cancellato dal catalogo della piattaforma streaming Hbo e poi reintrodotto pochi giorni fa: la pellicola è stata anticipata da un disclaimer e due video che ne spiegano il contesto storico. Se per "Via col Vento" c’è stato un parziale lieto fine, sono tanti i classici messi in discussione e cancellati dalle piattaforme streaming. Ma il "buonismo" non è un’invenzione odierna: dal secondo dopo guerra la censura è diventata uno strumento per "nascondere" i problemi, invece che analizzarli e affrontarli definitivamente.
I film del passato accusati di razzismo
In questo elenco non può certo mancare "Colazione da Tiffany". Il film del 1961 è da tempo accusato di essere "razzista" per il modo in cui rappresenta Yunioshi, il vicino della protagonista. La recitazione della star americana Mickey Rooney è stereotipata e il trucco con quei dentoni esagerato. Nel 1993 Bruce Lee nel film "The Dragon" lo cita come tipico esempio di "yellowface", caricatura nei confronti dei popoli orientali. Queste critiche ora si sono trasformate in qualcosa di più, visto che la rivista Variety l’ha inserito nella lista dei 10 film da vedere "preceduti da una spiegazione e forniti di un'avvertenza, riguardante razza, sessualità, disabilità e altro ancora".
Ma non è il solo film a "rischio" censura. "Forrest Gump" fa parte della stessa lista per essere "ostile ai manifestanti, agli attivisti e alla controcultura". In più la rivista sottolinea come il protagonista prenda "il nome dal nonno Nathan Bedford Forrest, primo sostenitore del KKK". Se questa è la sorte del sei volte premio Oscar, ancora più crudele potrebbe essere il destino di "Nascita di una nazione", il controverso film di David Wark Griffith del 1915. La pellicola è ambientata durante la guerra di secessione americana e vede bianchi e neri contrapposti. La tesi storica sostenuta dal film sarebbe che il Klu Klux Klan avrebbe ristabilito l’ordine in un Paese sconvolto dalla guerra civile. Oggi, senza dubbio, "Nascita di una nazione" appare razzista, ma è anche considerato come il primo film d’autore per le tecniche con cui è stato girato e l’esemplare interpretazione degli attori e per questo ha un posto nei manuali di storia del cinema.
Fin dai tempi della sua uscita nel 2004, "La Passione di Cristo" di Mel Gibson ha attirato numerose polemiche per il modo in cui sono rappresentati gli ebrei. Il regista è figlio di un noto negazionista dell’Olocausto e da sempre combatte con l’accusa di essere un antisemita fuori e dentro lo schermo. Anche Tim Burton e Quentin Tarantino condividono con il collega un destino simile, il primo per aver adoperato pochi attori afroamericani nei suoi film, il secondo per aver usato in modo incontrollato la parola "negro" nelle sue pellicole. Anche in questo caso le accuse sono state mosse fuori contesto, non considerando la trama e l’epoca in cui è stato ambientato ogni film.
I cartoni animati "razzisti"
Neanche le favole Disney sono sfuggite ai giudizi dei censori del nuovo millennio. Prima hanno attaccato le principesse dei classisi Disney, donne bianche, fragili e il cui destino dipende dal principe azzurro, poi hanno scansionato i film alla ricerca di qualsiasi elemento, anche piccolo, che riconducesse al razzismo.
Alla fine "dell’inchiesta" ne è derivata una lunga lista. Vi troviamo "Dumbo" recentemente bollato dalla piattaforma Disney Plus con l’etichetta "rappresentazioni culturali obsolete", a causa dei suoi corvi neri, parodia degli afroamericani, goffi e vestiti di stracci. Oppure "Lilli e Vagabondo" e "Gli Aristogatti" per i gatti siamesi e per la rappresentazione stereotipata di giapponesi e cinesi. Anche gli oranghi de "Il libro della giungla", i nativi americani di "Peter Pan" e le iene de "Il re leone" non hanno superato l’esame.
Finora nessuno di questi film è stato censurato. Sono tutti visibili sulla piattaforma. Ben diverso, invece, il destino de "I racconti dello zio Tom" del 1946, attualmente introvabile negli Stati Uniti. Nemmeno "Fantasia", il primo film commerciale proiettato in stereofonia, frutto dell’incredibile creatività dei disegnatori Disney, è stato risparmiato: la scena ambientata sul Monte Olimpo, sotto le note della Pastorale di Beethoven, è stata ridisegnata. La sequenza che mostra un centauro di colore mentre pulisce gli zoccoli a un’altra creatura dalla pelle bianca è stata eliminata.
Ma la Disney non è stata la sola ad aver "rivisto" i suoi classici per sfuggire alle polemiche. La Warner Bros. prima dei cartoni dei Looney Tunes ha inserito la dicitura: "I film animati che state per vedere sono prodotti del loro tempo. Possono rappresentare alcuni dei pregiudizi etnici e razziali che erano comuni nella società americana. Queste rappresentazioni erano sbagliate allora e sono sbagliate oggi". I creatori dei Simpson hanno messo in discussione il personaggio di Apu Nahasapeemapetilon, dopo che il documentario "The problem with Apu" del 2017 ha messo in luce una crudele ironia. Alla fine di una lunga diatriba, si è optato per cambiare il doppiatore, finora statunitense, levando all’immigrato indiano l’inflessione "fastidiosa".
I censori sono stati così messi a tacere. Ma con che scopo? Questa strategia ha finora portato risultati? Nel 2020 i registi Ryan Murphy e Ian Brennan hanno creato la serie tv "Hollywood", visibile su Netflix, che racconta delle difficoltà degli afroamericani nell’essere accettati dalla società. È ambienta nel dopoguerra, eppure, alla luce dei recenti fatti di cronaca, appare così attuale. I registi hanno immaginato un finale positivo, in cui un film poteva "cambiare" il corso della storia. Ma il mondo in cui viviamo non è perfetto, né tanto meno perfettibile. La cultura ce lo ha più volte mostrato: il cinema, la letteratura e l’arte registrano i passi avanti, così come quelli indietro.
Censurare "l’effetto" ha creato finora solo l’illusione di aver sradicato la causa, che al contrario ha piantato le sue radici sempre più profondamente. Il passato non si può cambiare, ma lo si può conoscere per costruire un futuro migliore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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