Dopo aver sbancato al botteghino oltreoceano, "It" è uscito nelle nostre sale e nel suo primo giorno di programmazione ha registrato il miglior debutto di sempre per un film horror. L'ondata di pubblico non si placherà perché è un prodotto in grado di soddisfare gli estimatori del romanzo di Stephen King da cui è tratto, ma anche di intrattenere chi non l'ha letto.
Data la vastità del materiale di partenza, un libro di oltre mille pagine, trarne un lungometraggio che conservasse lo spirito originario non era certo impresa da poco ma Andrés Muschietti, regista 44enne con un solo titolo alle spalle, l'horror "La madre" del 2013, ha probabilmente raggiunto il miglior risultato possibile: il suo "It" non è certo un capolavoro come la sua controparte cartacea ma le è sostanzialmente fedele.
L'adattamento è suddiviso in due film, il secondo dei quali uscirà tra un paio di anni. Il primo è ambientato negli anni 80, (anziché negli anni 50 come il romanzo) e si concentra sulle avventure vissute da un gruppo di sette ragazzini, continuamente soggiogati da bulli locali, che si fa chiamare il Club dei Perdenti. Siamo a Derry, nel Maine, una cittadina in qualche modo maledetta dalla presenza di It (Bill Skarsgård), un clown demoniaco che si fa chiamare Pennywise, abita nelle fogne ed è responsabile della sparizione di sempre più numerosi giovani del luogo.
A insaporire il debutto sul grande schermo del personaggio della mitologia kinghiana c'è il particolare che sono trascorsi 27 anni dalla miniserie televisiva già dedicatagli, ovvero esattamente l'arco temporale in cui, nella finzione narrativa, rimane inattivo prima di tornare a mietere vittime.
Come racconto di formazione "It" è encomiabile. Questo primo capitolo è un tuffo nell'età sospesa tra fanciullezza e adolescenza, in un limbo preda di paure irrazionali che fanno capo a quella, universale e inconscia, di crescere. Entrare a far parte della cerchia degli adulti non è molto appetibile nel film. I "grandi", infatti, sono delineati come presenze distratte e nocive, come una madre ossessiva o un padre moralmente laido. Di fronte a certi esempi, anche la capacità di Pennywise di incarnare, di volta in volta, la fobia del ragazzino che gli capita a tiro, impallidisce, perché la realtà è in grado di partorire orrori più abominevoli di quelli fantasticati. Questo tipo di consapevolezza emerge in maniera graduale, attraverso un'avventura piena di spaventi ma anche di allegria e tenerezza.
Nei dialoghi, buffi e sfrontati, e nella timida poesia di momenti indimenticabili, i Perdenti conquistano lo spettatore riportandolo all'età della sessualità acerba, dell'amicizia assoluta e delle estati in bicicletta.
Ogni personaggio è ben caratterizzato sia fisicamente sia psicologicamente e questo potenzia moltissimo il nucleo emotivo dell'opera. L'attenzione riservata al legame tra coetanei richiama l'atmosfera di celebri pellicole degli anni 80 come "Stand by me" o "I Goonies". L'orchestrazione di più generi cinematografici, tra cui l'avventura e il fantasy, rende il film affascinante ma sminuisce l'efficacia dei momenti horror che, tra l'altro, si presentano poco amalgamati al resto. It, con la sua mimica facciale marcata, le sue pose studiate e il suo armamentario di giochetti da professionista del Male, appare paradossalmente l'anello debole in un simile contesto. Non potendone approfondire le origini metafisiche ben presenti nel libro, la sua figura rimane appiattita su una convenzionale meccanica dello spavento fatta di jumpscare e apparizioni improvvise.
Il restyling estetico, poi, anche se ispirato alle descrizioni del romanzo, non ha giovato: incuteva molto più terrore l'It della serie tv, interpretato da Tim Curry.Il primo capitolo, dunque, più che un ritratto delle scorribande demoniache del famigerato clown, propone un ragionamento sull'esistenza di violenze e orrori superabili solo con la reciproca solidarietà.
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