Il film del weekend: "Manchester by The Sea"

Un affresco, tanto magistrale quanto intimista e asciutto, dell'inferno in terra cui relegano certi fantasmi interiori. Con un Casey Affleck da Oscar

Il film del weekend: "Manchester by The Sea"

Tra i candidati all'Oscar per il miglior film (ma in gara anche in altre cinque categorie), c'è un dramma duro e classico, "Manchester by the Sea", che colpisce per la capacità che ha di avvolgere lo spettatore e restargli addosso nonostante il tono minimale e quasi sommesso. Una magia silenziosa che si compie soprattutto grazie alla performance del protagonista.

Lee Chandler (Casey Affleck) è un tuttofare che vive a Boston conducendo un'esistenza regolare e piatta. Alla morte del suo amato fratello Joe (Kyle Chandler), l’uomo scopre di essere stato da lui nominato tutore legale del nipote diciassettenne, Patrick (Lucas Hedges, rivelazione assoluta). La nuova responsabilità lo costringe a tornare nella sua piccola cittadina natale, Manchester by the Sea, luogo da cui si era allontanato in esilio volontario a seguito di un evento traumatico di enorme gravità.

Il film di Kenneth Lonergan rivela a poco a poco e in maniera essenziale, attraverso una costruzione narrativa che intreccia più piani temporali, quali siano i trascorsi che il protagonista non ha modo di superare. Si viene presi per mano e trascinati in un dolore mai urlato, tutto costruito attraverso dettagli e sfumature.

Non c'è sentimentalismo, non si punta a indurre alle lacrime, eppure è come se quanto su schermo arrivasse a spezzare dentro a un livello viscerale.

Le ambientazioni, minimali e crepuscolari, hanno un che di malinconico e vi si muovono personaggi misurati eppure dalle caratterizzazioni vivide. All'interazione tra Lee e il nipote, è affidato il compito di introdurre momenti di ironia e arguzia umoristica in grado di alleggerire la tristezza che altrimenti aleggerebbe onnipervasiva.

Siamo nella costa nord-est del Massachusetts ma la cornice composta da mare, vento e cielo dona universalità ad un luogo in cui ad andare sopra le righe è solo il destino.
"Manchester by the Sea" non ritrae solo un calvario interiore credibile, reso in maniera asciutta eppure intensa e attraverso un ritmo drammaturgico lento. E' anche un film che racconta di strategie di sopravvivenza: c'è chi si appella alla propria pulsione di vita, come Randy (l'ex moglie di Lee) che prova a reinventarsi un'esistenza, anche se costruita su macerie inamovibili dal cuore e dalla mente, e chi, come Lee, finisce con l'assecondare la propria pulsione di morte, trascinandosi come un involucro vuoto, ma in realtà colmo di contenuti sedati che, di rado, affiorano in compulsivi eccessi di rabbia. Dalla vicinanza forzata tra la giovanile fame di esperienze e di calore umano dell'adolescente Patrick, un uomo come Lee, che ha perso la pratica del dialogo e si è seppellito da vivo andando ad abitare in un seminterrato fatiscente, sembra trarre un piccolo giovamento, ma resta il dubbio che si tratti di un finto sollievo. Difficile ci sia umana relazione affettiva che possa restituire alla vita chi ha addosso un lutto come il suo.

Nessuno più di Casey Affleck, con la sua interpretazione dolente e

trattenuta, giocata di sottrazione, appare più meritevole dell'Oscar per il miglior attore protagonista: la disperazione eterna e silente che affiora dietro all'apparente imperturbabilità del suo Lee è qualcosa che si fa ricordare.

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