Il film del weekend: "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"

Sceneggiatura perfetta e attori in stato di grazia rendono indimenticabile un'opera in equilibrio tra dramma, umorismo nero e suggestioni western

 Il film del weekend: "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"

Non stupisce che "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" abbia dominato i recenti Golden Globe vincendo quattro premi importanti: miglior film drammatico, migliore sceneggiatura, migliore attrice protagonista (Frances McDormand) e miglior attore non protagonista (Sam Rockwell). Semmai era stato ingiustamente parco di riconoscimenti (uno solo per la sceneggiatura) il passaggio della pellicola al Festival di Venezia.
Riuscitissimo miscuglio di dramma, commedia nera e western moderno, l'opera di Martin McDonagh (già regista di "In Brudges" e "Sette psicopatici") è un vero gioiello, dalla scrittura solidissima e dalle performance attoriali eccezionali.
Siamo a Ebbing, Missouri. Mildred Hayes (Frances McDormand), esasperata da mesi di indagini inconcludenti sull'omicidio di sua figlia, decide di noleggiare tre grandi cartelloni pubblicitari in cui scrivere una serie di messaggi polemici contro Bill Willoughby (Woody Harrelson), lo stimato capo della polizia locale. La mossa attira l'attenzione dei media sul caso irrisolto, generando disappunto non solo nelle forze dell'ordine ma anche in molti concittadini.
Ci si appassiona con sincero coinvolgimento alla crociata di Mildred contro poliziotti indolenti e incompetenti, figli di una provincia retrograda del sud degli Stati Uniti. Dolore, senso di colpa e speranza si alternano con rabbiosa rassegnazione in questa madre guerriera interpretata da una McDormand strepitosa e già in odore di Oscar.
I temi toccati, per quanto seri e complessi, vengono affrontati con gustoso cinismo e, sebbene la vicenda sia assolutamente drammatica, non si contano le battute sagaci e ficcanti, in grado di strappare autentiche risate. Tanto i dialoghi sono secchi e impeccabili, così lo stile registico è asciutto e preciso: non c'è spazio per alcuna retorica né nella forma né nei contenuti.
Molto accattivante è la presenza di comprimari caratterizzati al meglio, un'umanità originale e imprevedibile, ricca di sfaccettature e contraddizioni. Tra questi personaggi, ad avere più importanza nell'arco narrativo è l'agente Dixon (Sam Rockwell), un bullo razzista e mammone, la cui aggressiva immaturità è tanto impacciata quanto esplosiva. Un'altra figura interessante in "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" è quella dello sceriffo Willoughby, venerato da una comunità che è a conoscenza gli restino solo pochi mesi di vita e interpretato da un Woody Harrelson mai così convincente.
Angoscia, tenerezza, violenza e comicità condiscono di sfumature un film bello e profondo, che resta ruvido e cinico fino alla fine ma che sa concedersi anche un tenue spiraglio di luce nel finale aperto.

Perché anche in una terra pregna di pregiudizi inestirpabili, pulsioni represse e brutalità selvaggia c'è margine per sopravvivere, magari rifugiandosi in un'irriducibile vena sarcastica o tentando di domare una natura incline alla vendetta.

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