Ricomincia, per la settima e ultima stagione, Californication, la serie tv firmata Showtime che ha alzato l'asticella del politicamente scorretto in tv di molte lunghezze (parte stasera negli Usa, prossimamente su Italia 1, come le altre stagioni). Il protagonista, Hank Moody, interpretato da David Duchovny, già famoso per il ruolo dell'agente Fox Mulder di X FILES, è uno scrittore newyorkese underground muscoloso e superdotato che, trasferitosi a Los Angeles, in California, viene fagocitato dalla vita dissoluta di Hollywood. In bilico tra malinconia e peterpanesca cialtroneria, tra un guaio e l'altro, finisce preda di donne bellissime che gli impediscono di ricostruire la sua famiglia del Mulino bianco.
Da Omero a Shakespeare, da Wilde a Hemingway, gli scrittori hanno sempre riposto la loro fortuna in varie mitologie: il reportagista incorruttibile, il pugnace combattente per la libertà, il compulsivo esibizionista che progetta di scrivere un romanzo in una gabbia di vetro, l'autore di bestseller circondato da fantomatici ghost writer, il fragile postmoderno che non regge alla depressione e si trasforma, impiccandosi, nel cantore di una generazione.
Hank Moody non è che la declinazione del mito secondo Showtime. La cosa dello scrittore «californicato» non è certo nuova: basta pensare a Francis Scott Fitzgerald che abbandona Hollywood con le ossa rotte, a quei filistei di Fante e Bukowski che incassavano storcendo il naso i cospicui assegni delle major, a Norman Mailer e al suo smodato bisogno di bere, o a Barton Fink, il protagonista dell'omonimo film dei fratelli Coen.
Se è vero che i capolavori, televisivamente parlando, sono altri, chi critica Californication si attacca prevalentemente alla mancanza di verosimiglianza. Tra gli scrittori italiani, perlopiù intrisi di buonismo, politicamente al soldo di ogni causa sociale possa conquistargli le simpatie del pubblico, o drammaticamente naif, non c'è nessuno che abbia un profilo lontanamente paragonabile alla rocambolesca vita letteraria di Hank Moody. Dietro la foglia di fico della coerenza narrativa, dicendo che Hank non è credibile, tuonano: «A me non mi succede mai!».
Che in realtà vuol dire: ma perché a me non succede mai?
Il non-detto è che tutti vorremmo essere Hank Moody per le stesse ragioni, le tre S: Sesso, Soldi, Successo. Californication ci inchioda al nostro inconscio collettivo, ricordandoci, al di là di ogni intellettualismo, quanto siamo banali e occidentali. Ci sprona a fare i conti coi valori con cui siamo cresciuti, invitandoci a non scordarne la transitoria parzialità e gli effetti collaterali, ma anche a goderci i nostri privilegi.
Saltare su un aereo e atterrare a Lax, prenotare un bungalow allo Chateau Marmont, affittare una decappottabile, acquistare un cd di Warren Zevon, ubriacarsi al Whisky a Go Go, girovagare per la San Frenando Valley è il miglior modo per toccare con mano il «realismo» di Californication, serie potenzialmente pedagogica per gli scrittori italiani contemporanei.
L'unico vero pericolo di Californication è il mood in cui Hank scrive: l'autobiografismo. La trama della sua scrittura, quindi delle puntate, segue la frenetica impulsività della sua condotta (bere, drogarsi, picchiarsi, accoppiarsi). Il problema è che questa malattia infantile della scrittura, in salsa latina, si traduce nella poltigliosa noia della denuncia sociale, della malinconia radical chic e delle «storie vere», unico viatico per i talk show, in cui gli scrittori vengono invitati sulla base della sincerità della loro opera e del loro personaggio, non certo in virtù del loro talento.
Qualunque scrittore «serio», a telecamere spente, potrebbe confermare come ogni opera, benché attinga dall'irrazionale dedalo di contraddizioni che è il mondo fisico e allo stesso tempo immateriale della nostra emotività, sia soprattutto frutto di una lucida architettura estetica, spesso migliorata da complesse logiche commerciali.
L'arte, lungi dall'essere sincera e semplice, al suo meglio è favolosamente complicata. Ma, se non si possono battere i fanatici della scrittura-verità, l'obbligo di guardare Californication dopo un viaggio a Los Angeles potrebbe essere un buon antidoto per salvarli da se stessi.
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