In fuga, sconfitti ma felici I nuovi nomadi americani

In "NomadLand" la regista Chloé Zhoe racconta questa tendenza quasi "hippy". Con Frances McDormand

In fuga, sconfitti ma felici I nuovi nomadi americani
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Venezia. La parola nomade viene dal greco e significa «colui che va errando per mutare pascoli». E il mangiare, e quindi il lavoro, sono due dei temi principali dell'ultimo film passato ieri in concorso alla 77a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Nomadland, appunto la terra dei nomadi, della regista cinese Chloé Zhao attiva però, ormai da più di dodici anni, nel cinema statunitense.
Il film racconta di Fern, una sessantunenne che, senza più marito e lavoro dopo che la città mineraria in cui viveva è stata praticamente abbandonata, decide di prendere armi e bagagli e di andare a vivere nel suo furgone in giro per gli Stati Uniti, sempre alla ricerca di una lavoro che, dice, «a me piace tanto».
Così, tra un impiego «molto ben pagato» ma a tempo in un magazzino di Amazon e la pulizia dei bagni in un campeggio, Fern ha modo di conoscere e condividere strada e vita con una serie di persone che si trovano più o meno nelle sue stesse condizioni. Sono i nomadi dei tempi moderni che, come capita spesso negli Stati Uniti, si organizzano in vere e proprie comunità viaggianti: «Essendo cresciuta in città cinesi e inglesi dice la regista sono sempre stata profondamente attratta dalla strada aperta, un'idea che trovo tipicamente americana: la continua ricerca di ciò che sta oltre l'orizzonte. Ho tentato di catturarne uno scorcio in questo film».
E in effetti questo aspetto, anche visivo, è molto presente in Nomadland che ci porta dentro una realtà in cui chi si muove come un nomade è molto connesso con la terra, con i panorami, con il sole, le nuvole. Atmosfere uniche grazie anche alle suggestive musiche del nostro Ludovico Einaudi che la regista ha scoperto su Google.
Racconta Chloé Zhao: «Nell'autunno del 2018, mentre giravo Nomadland a Scottsbluff, nel Nebraska, vicino a un campo ghiacciato di barbabietole, mi ritrovai a sfogliare Desert Solitaire di Edward Abbey, e incappai in questo passaggio: Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono, intere civiltà scompaiono; la terra resta, solo leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia il cuore, dove non ci sono cuori da straziare... a volte penso, senz'altro in modo perverso, che l'uomo è un sogno, il pensiero un'illusione, e solo la roccia è reale. Roccia e sole».
Una citazione letteraria che ci riporta anche all'origine del film che nasce dall'omonimo libro di Jessica Bruder, «una specie di indagine giornalistica sull'argomento, ho poi incontrato la scrittrice tre anni fa al Sundance e poi è accaduto tutto», spiega Chloé Zhao che è anche produttrice, sceneggiatrice e montatrice di Nomadland per il quale ha scelto come interprete una delle migliori attrici americane, Frances McDormand, già in lizza per la Coppa Volpi («La mia faccia è come visitare un parco nazionale, ha scritto di me qualcuno e mi piace molto come definizione»)proprio come il film lo è per il Leone d'Oro che verrà consegnato stasera.
«È stata un'esperienza incredibile racconta l'attrice sposata con Joel Coen eravamo in 25, abbiamo viaggiato per cinque mesi in altrettanti stati, siamo diventati come un unico organismo, tutti collegati tra noi, ci siamo mossi rapidamente, in modo improvviso se necessario, vivendo nella comunità degli abitanti di questi camper, giocando con la regista al gioco che cosa succederebbe se fossi veramente uno di loro». Gioco che era inutile fare con gli altri interpreti che sono stati scelti perché veri nomadi, come Linda May, Swankie e Bob Wells, vere e proprie guide e compagni di Fern nel corso della sua ricerca attraverso i vasti paesaggi dell'Ovest americano, dalle Badlands del South Dakota al deserto del Nevada, fino al Pacific Northwest: «Per molti mesi racconta la regista ci siamo spostati per girare il film con un continuo andirivieni di nomadi; molti di essi conservavano rocce raccolte durante le peregrinazioni a bordo delle loro case su ruote alimentate dal sole, dispensando storie e saggezza davanti e dietro l'obiettivo della macchina da presa».


Nomadland racconta però anche di cose ancora più concrete, come la ricerca del lavoro che oggi non si trova: «Quello che sta accadendo in tutto il mondo dice la protagonista è l'enorme disparità tra chi ha e chi non ha. La scelta dei nomadi di vivere in movimento ha molto a che fare con le disparità, il film non è una dichiarazione politica ma tenta di capire come vive una comunità che ha fatto scelte molto difficili».

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