Furiosi, prodighi, mistici. Com'era folle il Medioevo

A "èStoria" si racconta quanto sono mutate l'idea della malattia mentale, la diagnosi e le terapie

Furiosi, prodighi, mistici. Com'era folle il Medioevo

Gorizia. Si fa presto a dire follia. Ma l'idea della follia cambia nel tempo, come si evince dal festival èStoria, che quest'anno ha dedicato l'edizione, che torna in presenza, proprio a questo tema. La follia, infatti, non ha a che fare solo con la salute mentale, ma anche con una serie di norme giuridiche e sociali condivise la cui violazione porta verso l'esclusione sociale. Esistono follie accettate, follie che vengono persino considerate una manifestazione del divino. Il che era molto più comune nelle società antiche, così diverse dalla nostra supermedicalizzata. Ad esempio l'idea che nel Medioevo si aveva di follia è molto diversa da quella attuale. Ne abbiamo parlato con il professor Paolo Cammarosano, uno dei più noti medievisti italiani e con la professoressa Marialuisa Bottazzi, grande esperta di simbologia e legislazione medievale che a Gorizia sono intervenuti ieri sul tema: «L'alterazione mentale nella realtà e nella rappresentazione del Medioevo».

Ci spiega Cammarosano: «La follia nel Medioevo è qualcosa di molto diverso rispetto a quello che è per noi. Essenzialmente è vista come un intervento del maligno, tanto che le fonti principali finiscono per essere le agiografie e le vite dei santi. Nel Medioevo il maligno agisce in diversi modi, anche modi considerati molto diretti. E quindi tutta una serie di malattie mentali come l'epilessia sono considerate sinonimo di possessione. Se nel mondo classico l'epilettico è in un qualche modo colpito da una malattia sacra, nel medioevo è visto come tormentato dal demonio».

Tutto questo in un contesto molto diverso da quello di una società medicalizzata come la nostra: «Il Medioevo non distingue con chiarezza tra le varie malattie mentali, tra disturbi cognitivi ed epilessia ad esempio. Certo, esistono delle categorie mediche ereditate dalla medicina antica ma sono molto labili. Conta molto lo stigma sociale o il pericolo sociale. Spesso viene considerata come follia anche una eccessiva prodigalità. O vengono inseriti in quest'ambito comportamenti che noi riterremmo normali. Facile che una donna costretta forzatamente a sposarsi che si rifiuti o si ribelli al marito imposto venga considerata folle, rientri nella categoria dei furiosi. Quindi è molto difficile guardare al passato e rintracciare tracce chiare di quello che noi oggi consideriamo malattia mentale. Spesso il concetto di peccato e malattia mentale finivano per sovrapporsi». Il problema però al di là delle diagnosi mediche era invece ben presente ai giuristi. Come spiega la professoressa Marialuisa Bottazzi del Centro europeo di ricerche medievali di Trieste. «Gli statuti medievali di molte città riprendono ovviamente la legislazione romana sul tema, riordinata da Giustiniano. Ma è una questione stringente, soprattutto, per la nomina dei tutori legali di chi veniva dichiarato non capace di intendere e di volere. Era un tema molto sentito a Venezia, dove c'erano grossi patrimoni e il fatto che qualcuno coinvolto negli affari potesse diventare mentalmente instabile era una questione rilevante. Si arrivò ad apposite commissioni per nominare i tutori o i curatori. Oppure per decretare che la persona era tornata in sé. In altri casi, come a Siena, c'è meno precisione e si trovano nella stessa categoria i pazzi furiosi e i così detti prodighi. Quelli che sperperano il patrimonio di famiglia». Una delle prime città ad organizzarsi, ad esempio, per un tentativo di cura della malattia mentale fu Milano sotto Galeazzo Sforza: «Certo il livello delle diagnosi era quel che era, molto lontano dallo sforzo di comprensione fatto nel mondo islamico nello stesso periodo. Non era difficile del resto essere anche incarcerati come furiosi, magari per aver insultato il duca».

E nel Medioevo il concetto di follia utilizzata come arma politica era ben chiaro. Ci spiega Cammarosano: «Basta pensare al caso di Giovanna d'Arco o dei templari per capire che si poteva facilmente usare l'idea della follia indotta dal maligno a scopi eminentemente di potere».

Esistevano poi momenti di follia istituzionalizzata di cui il presente ha mantenuto tracce labili ma significative: «Se follia e peccato spesso coincidono - dice di nuovo Cammarosano - esistevano però dei momenti dell'anno in cui il controllo sociale doveva allentarsi e consentire una sorta di inversione dei comportamenti: una follia autorizzata per un tempo dato era una valvola di sfogo sociale fondamentale. Esattamente come lo è la follia dei buffoni».

Del resto una serie di comportamenti, dalle estasi mistiche alle voci divine, che oggi facilmente potrebbero indurre dubbi di sanità mentale venivano considerati completamente normali nel Medioevo: «Nel Medioevo follia era l'opposto di saggezza. E vera saggezza era seguire il verbo divino.

Ecco perché l'eccessivo attaccamento al successo mondano, l'attenzione alla ricchezza potevano essere etichettate come follia. È quel percorso culturale che porta verso Erasmo da Rotterdam e la Nave dei folli di Sebastian Brant. E questa concezione di critica sociale è un lascito importante, una rottura rispetto al conformismo sociale».

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