Quando la realtà supera la fantasia. Nel 1969 a Palermo nell'oratorio di San Lorenzo i ladri rubarono la Natività del Caravaggio scappando su un'Ape. Ad oggi il dipinto, di valore inestimabile, non è mai stato più ritrovato e forse è finito in Giappone. Ma in cinquant'anni molti hanno millantato di conoscerne le sorti. A partire da mafiosi del calibro di Francesco Marino Mannoia per cui la tela è finita sbriciolata mentre altri pentiti hanno rivelato che è stata data in pasto ai porci dopo il suo utilizzo come scendiletto da parte di Riina.
Praticamente una sceneggiatura già scritta quella che il regista Roberto Andò, con l'aiuto di Elo Pasquini e Giacomo Bendotti, ha trasformato nella divertente tragicommedia Una storia senza nome presentata fuori concorso al festival di Venezia e in uscita nei cinema il 20 settembre. Così intorno al fatto reale Andò, da palermitano che ben conosce la sua terra «dove l'impostura è sempre in agguato», costruisce un'impalcatura di storia grottesca legata proprio al mondo del cinema dove ogni personaggio è doppio e non è mai quello che dice di essere. Ecco Valeria (interpretata da una misurata Micaela Ramazzotti) che lavora come segretaria nell'ufficio di un produttore cinematografico (Antonio Catania) ma che in realtà è bravissima a scrivere e lo fa in incognito per Alessandro (Alessandro Gassman), sceneggiatore di successo in crisi creativa. Un giorno riceve da uno conosciuto, un poliziotto in pensione (Renato Carpentieri in un ruolo ironico un po' inedito per lui), il soggetto per la trama di un film: Una storia senza nome, proprio sul furto del quadro del Caravaggio. Da quel momento Valeria, che vive nell'appartamento vicino alla madre (Laura Morante) che non gli ha mai rivelato chi fosse il padre, si troverà protagonista della stessa storia che sta scrivendo: «È molto interessante - racconta Micaela Ramazzotti - il discorso che il film fa sull'impostura. Il mio personaggio, che è anche la prima protagonista di un film di Roberto Andò, scrive nell'ombra ma ha molto godimento nel farlo. Lei dalla finzione entra nella realtà e da subalterna sentimentalmente si trasforma in donna sexy che esplora la sua femminilità». Le fa eco Alessandro Gassman: «Io rappresento proprio il tipico cialtrone, una figura che permea anche la società e che, anche se ci fa drammaticamente ridere, in realtà è la causa di tutti i nostri problemi».
Una storia senza nome lavora con successo sul difficile registro del grottesco al quale unisce un racconto metacinematografico lieve e ironico, riuscendo così a costruire un film che, con apparente leggerezza, va a toccare temi molto seri finendo pure a dare una sua versione di una possibile trattativa Stato-Mafia (magari per alleggerire il 41bis) che immagina possa esserci stata nelle stanze dei palazzi romani del potere pur di riavere quella tela dal valore inestimabile, non certo in termini solo economici: «Bisogna ricordare - dice il regista che chiude la sua trilogia sul potere dopo Viva la libertà e Le confessioni - che l'unione del tragico e del ridicolo genera la commedia. Nel film ci sono molti uomini politici che, come quelli di oggi, sono diventati, più che suscitatori di speranze, portatori di ridicolo».
Molto interessante l'uso che fa il regista dei volti di caratteristi come Gaetano Bruno (interpreta il finanziatore balbuziente legato alla Mafia) che ricordano il nostro cinema più bello - pensiamo alle facce di Germi - così come è efficace l'arruolamento nei panni del regista del film nel film del grande autore polacco Jerzy Skolimowski: «Mi è già capitato in passato di lavorare con registi importanti come Kusturica, nel film precedente ci doveva essere Polanski che all'ultimo momento non ha potuto, mentre Skolimowski l'ho conosciuto qui a Venezia quando ero in una giuria.
Mi sembrava perfetto per questo ruolo perché lui ha un volto fascinoso e misterioso. Oltretutto sul set è stato molto diligente e bravo. Devo ammettere che i registi che si prestano a fare gli attori sono sempre impeccabili».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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