Film rivelazione all'ultimo Festival di Cannes, dove ha ottenuto ben quattro premi, "Girl" segna l'esordio alla regia di Lukas Dhont, ventisettenne belga.
Con grazia, umanità e rispetto va in scena un'adolescenza particolare, quella di una ragazza, Lara (Victor Polster) che sogna di diventare etoile e, proprio per frequentare una delle più famose accademie di danza, si è trasferita in una nuova città con padre (Arieh Worthalter) e fratellino (Oliver Bodart) al seguito. La volontà di ferro e l'abnegazione ai duri allenamenti, però, non bastano. Lara è nata in un corpo maschile e quindi si trova anche a cominciare il processo di transizione per diventare, con l'ausilio di ormoni e con la prospettiva di un intervento chirurgico, quel che sente di essere da sempre. Nell'inseguire i propri sogni, però, si spingerà oltre il limite.
Il tema è probabilmente sgradito a una parte di pubblico, ma ridurre "Girl" a una storia transgender sarebbe limitante e ingiusto. Quanto narrato ha una valenza più universale, quella della battaglia per diventare se stessi.
L’adolescenza è di per sé un periodo molto complesso, di grande trasformazione e di ricerca della propria identità e "Girl" ne amplifica alcuni tormenti perché il cammino verso l'auto-accettazione, per la protagonista, è ben più arduo di quello dei suoi coetanei. Il disprezzo del proprio corpo di fronte allo specchio è faccenda quotidiana per Lara, che cerca di plasmarlo con medicine e sessioni in sala prove, di trasfigurarlo nel gesto coreutico e piegarlo al proprio volere. Dal conflitto all'autolesionismo il passo è breve. C'è del masochismo nel rendere invisibile il proprio organo sessuale appiattendolo con il nastro adesivo prima di ogni lezione di danza, così come nel proseguire a ballare nonostante le dita dei piedi sanguinanti.
La disciplina, accompagnata da cotanta determinazione e dall'impazienza della giovinezza, muta in ostinazione estrema e ossessiva.
Difficile pensare a qualcun altro nei panni della quindicenne Lara: il giovanissimo ballerino Victor Polster, al suo esordio d'attore, regala un'interpretazione eccezionale. Sebbene il personaggio sia costruito su molti non-detti, non c'è stato d'animo che resti inespresso sul volto di questa eterea creatura. Conservando sempre grande compostezza, la sua Lara appare ora radiosa, ora sofferente, senza mai tradire la naturale e introversa dolcezza che la contraddistingue.
Potente e delicato, "Girl" ricorda stilisticamente alcune opere di Xavier Dolan. La regia è sensibile e puntuale. In famiglia la protagonista è compresa e la collettività, fatta eccezione per un episodio durante un pigiama party, non le è ostile. Il suo è un dramma tutto interiore ed emotivamente credibile. Da spettatori riceviamo carezze e pugni nello stomaco: alcune scene sono di forte impatto ma il racconto si tiene alla larga da voyerismo, retorica e melodramma tout court. Il dolore, sia fisico sia psicologico, è descritto in maniera asciutta, eppure, ci si sente vicini come mai prima al conflitto di qualcuno imprigionato in un corpo che non ritiene suo.
"Girl" non è solo un film coraggioso ma un'esperienza toccante e cruda che sposa lo stesso principio enunciato nel bellissimo "Tutto su mia madre" (1999) di Almodovar: la vera autenticità non sta nell’essere come si è, ma nel riuscire a somigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi.
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