«Questa è la casa del Sorpasso». In che senso? «Mio padre l'ha comprata dopo il successo di quel film». Ci troviamo a casa di Vittorio Cecchi Gori: «Ci sono tornato da poco a viverci, prima non volevo, ma ora ho glorificato tutto il passato. Ogni tanto vedo spuntare mio padre e mia madre... La verità è che mi sento sempre più figlio che padre», confida ora a 77 anni in mezzo alle tantissime foto del padre Mario. Dalla terrazza panoramica, attico e superattico, di via dei Monti Parioli, forse la strada più esclusiva della Capitale, si vede tutta Roma, con in omaggio pure la Cupola di San Pietro. Sul grande tavolo del salone tre statuette dell'Oscar vengono usate come centro di una tavola ricolma di tartine variopinte. Nel salone accanto, una parete intera ospita un numero imprecisato di premi tra Leoni d'Oro e David di Donatello.
L'impero Cecchi Gori, l'ultima major italiana, è racchiuso qui, in un riflesso di uno spettacolare tramonto romano della grande bellezza che fu. Dietro il luccichio di un'età dell'oro che mai più ritornerà, un enorme tapis roulant fa bella mostra di sé in una porzione di terrazzo probabilmente condonato come fanno i più comuni mortali. E in effetti la storia di Vittorio Cecchi Gori è per certi versi paradigmatica di come siamo fatti noi italiani. Vittorio voleva fare l'americano e, andando a pranzo con il boss della Warner - «sul volo per Los Angeles m'è venuta l'idea per un soggetto che poi hanno fatto loro ed è diventato Seven, un successo stratosferico» -, scopre che per fare i soldi veri le grandi aziende diversificano: «Pensi che per Warner, proprietari anche di una squadra, la prima voce degli introiti era relativa a quelli musicali mentre quelli cinematografici erano solo al terzo posto, poi ho visto che si sono anche associati con un canale tv». Così prova a importare il modello americano nel sistema italiano ma le cose non girano per il verso giusto: «La verità è che si va a smuovere grandi interessi. C'è stato un conflitto naturale tra cinema e tv e alla fine purtroppo ha vinto la tv sul cinema. Ho evitato di avvicinarmi ai giornali che erano un'altra cosa. Sono stato vittima di un conflitto di interessi». Finito, come sarebbe potuto succedere in uno qualsiasi dei film che ha prodotto, con il carcere per bancarotta fraudolenta: «Non è facile andare da Fontanella Borghese a Regina Coeli. E non ho certo vissuto bene il fatto di essere stato arrestato davanti ai miei figli ma avevo capito che eravamo nella follia del potere. In quei momenti devi essere forte, devi fare fronte, però avevo capito che saltava tutto. Ma, alla fine, sa una cosa? Di tutto questo me ne sono fatto una medaglia». «Oltretutto - prosegue come un fiume in piena - ho avuto due figli meravigliosi e con Rita (Rusic, ndr) sono rimasto in buoni rapporti. Anche se, certo, eviterei di andare a fare una passeggiata insieme con Rita e con Valeria (Marini, ndr) che comunque, ci tengo a sottolinearlo, ho conosciuto solo dopo che ci eravamo separati». Tempo di bilanci. E la politica? «Era morto mio padre e mi chiamò Martinazzoli per chiedermi di candidarmi al Senato 1 di Firenze, altrimenti vincono tutti i comunisti mi disse. E io che dovevo fare? In fondo la Democrazia cristiana era il partito di origine che avevamo un po' più frequentato. Però l'ho capito, la politica non era il mio mestiere, la Dc poi oltretutto mi si è sbriciolata tra le mani...».
Un po' dimagrito e con un sorriso malinconico, in effetti Vittorio Cecchi Gori si presenta ora come un uomo «pacificato», «perché tanto che ci vuoi fare quando a un tuo giudice gli danno 12 anni per corruzione». Ed è in qualche modo questa nuova fase della sua vita che vedremo nel documentario che Simone Isola e Marco Spagnoli stanno dedicando a uno dei personaggi chiave del cinema italiano. Sarà anche per quest'aria di festa di fine delle riprese, in attesa di vedere Cecchi Gori - Di vizi e di virtù probabilmente a settembre al festival di Venezia. Un lavoro impressionante, «delle 15mila foto conservate ne abbiamo utilizzate 1800» spiega il regista Spagnoli mentre su un monitor scorrono, sempre accanto a Mario e a Vittorio Cecchi Gori, i volti di Bruce Willis, Andreotti, Brad Pitt mentre Roberto Benigni, Giuseppe Tornatore, Leonardo Pieraccioni, Carlo Verdone, Lino Banfi e Marco Risi nel documentario racconteranno il loro rapporto speciale con i Cecchi Gori.
«Con alcuni di loro ho un po' battibeccato, soprattutto per via della storia delle morti alla fine dei film, con Benigni insistevo che in La vita è bella non c'era bisogno di sentire la mitragliata finale. Ovviamente la lasciò.
Anche a Massimo Troisi dicevo che non doveva morire nel Postino ma, tre giorni prima che morisse veramente, mi scrisse: Non ti devi preoccupare, ricordati che Troisi per il pubblico è sempre vivo e lo spettacolo continua». Come gli Oscar vinti per questi due film (e per Mediterraneo), ora finiti come centrotavola.
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