Gli altri festeggiano i suoi 80 anni, compiuti ieri, lui no, non ha tempo: «Ho sempre tanti progetti, un po' qui e un po' là», conferma con quella sua parlantina liscia ma puntuta che solo raramente interrompe. Presentare Mogol è impossibile per mancanza di spazio: è l'autore principe della musica leggera popolare italiana e mica solo per la decisiva liaison con Lucio Battisti. In realtà ha scritto parole di canzoni che cantiamo senza magari sapere che le ha firmate lui. Ad esempio Perdono di Caterina Caselli, Per te di Patty Pravo, Che colpa abbiamo noi dei The Rokes, A chi di Fausto Leali, Una lacrima sul viso di Bobby Solo, La spada nel cuore di Little Tony e 29 settembre di Equipe 84. Insomma per riassumere Giulio Rapetti, che dal 2006 di cognome fa ufficialmente Mogol per volontà del Ministro dell'Interno, forse basta dire che ha aiutato la lingua italiana a crescere. Tanto per capirci, quando con Battisti ha presentato il disco Una giornata uggiosa, i discografici non lo volevano perché «uggiosa è una parola che nessuno conosce». Ora è di uso comune. Di più: mentre il cantautorato si ancorava a ideologie e fanatismi che già allora avevano la scadenza come lo yogurt, nel 1972 scriveva testi ancora attuali come I giardini di marzo, con quel «al 21 del mese i soldi erano già finiti» che riassumevano una crisi economica tornata di gigantesca attualità. Perciò la libertà creativa di Mogol ne ha fatto un'icona che oggi appunto celebrano tutti. Tranne lui, ovviamente.
Però, caro Mogol, dev'esser bello compiere 80 anni come l'autore che nel mondo probabilmente ha avuto più brani in cima alla classifica.
«In effetti sono 135, se non ricordo male».
Dovendo scegliere le più significative tra le meno famose?
«L'altro giorno mi ha chiamato un grande giornalista, Vincenzo Mollica, e mi ha detto "ho appena ascoltato un tuo brano che è un capolavoro". Quale, gli ho chiesto. Dormi amore che hai scritto per Celentano". È vero, quello era uno dei miei brani più virtuosi. E anche Il soufflè con le banane che composi per Cocciante raccontando la storia di un bambino che nasce in una casa di tolleranza e sua madre è la maîtresse».
Oltre al talento, che cosa è stato decisivo per Mogol?
«Diciamo che ho avuto anche fortuna. Anzi ho radunato la fortuna che non ho avuto da altre parti, visto che non ho mai vinto neanche una lira alla lotteria... (sorride, ndr). Però in effetti un premio importante l'ho vinto, ma non ne parlo mai: qualche anno fa il Centro Nazionale Studi Leopardiani mi ha riconosciuto di essere un continuatore dello spirito del poeta. Quando mi hanno premiato, Giorgio Albertazzi ha declamato il testo di Emozioni».
In sostanza per un autore di testi è come un Oscar alla carriera.
«E adesso è nata una associazione no profit che si chiama NAM: Nobel a Mogol. Vogliono presentare la mia candidatura».
In queste settimane c'è stato un fatto simbolico ma più concreto: una sentenza le ha dato ragione sui diritti delle canzoni pubblicate con Battisti e gestite secondo le direttive della vedova. Però qualcuno dice che sia stato lei a perdere.
«Se mi è stato riconosciuto un indennizzo economico, vuol dire che qualcun altro ha commesso degli errori. Ma, ora che la sentenza è stata emessa, non ha senso aggiungere altro».
Allora spieghi come fa il signor Mogol di anni 80 a essere così in forma.
«Cerco di avere un minimo di manutenzione» (sorride, ndr).
Qualche consiglio.
«Vado a cavallo e gioco a pallone. Ogni giorno faccio un'ora e mezza di sport, dormo 8/9 ore a notte e prendo il sole anche d'inverno. Il nostro organismo ha un sistema di difesa che è come un esercito. Se viene impegnato su troppi fronti, perde la guerra. Ecco, io cerco di ridurre il più possibile i fronti...».
Com'è la situazione sul fronte rap?
«Beh è una forma di musica basata sulla ritmica e sulla parola, cui ogni tanto si aggiunge melodia. È più per i giovanissimi che per altri. E sicuramente non ha la stessa importanza del rock'n'roll».
C'è un erede di Mogol?
«Beh, Giuseppe Anastasi senza dubbio scrive benissimo. E anche mio figlio Alfredo (il cui nome d'arte è Cheope). Però alla radio ascolto canzoni che non mi piacciono».
Ogni quanto tempo pensa a Lucio Battisti?
«Prego sempre per le persone care che non ci sono più o che stanno male. E naturalmente prego anche per Lucio».
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