"I cronisti detective sono una benedizione. Anche contro i preti"

L'attore protagonista del film "Spotlight", sullo scandalo dei religiosi pedofili, elogia il giornalismo investigativo

"I cronisti detective sono una benedizione. Anche contro i preti"

Eccolo Michael Keaton, magnifico protagonista del film premio Oscar 2015 Birdman e oggi mattatore di Spotlight (dal 18 febbraio in Italia), coraggioso film giornalistico di Thomas McCarthy che narra la storia della squadra investigativa del quotidiano Boston Globe, detta «Spotlight», capace di smascherare lo scandalo della pedofilia nella capitale del Massachussetts. Siamo agli albori del 2000 e tra dubbi, rivelazioni e silenzi, il suo Walter Robby Robinson, anch'egli ieri a Roma per il lancio dello scottante documento che piomba sugli schermi in pieno Giubileo, incarna la passione della verità. Quanti bambini furono abusati nella diocesi bostoniana, con la copertura della Chiesa Cattolica, da oltre 70 sacerdoti locali? E perché l'arcivescovo di Boston, Bernard Law, ha taciuto a lungo, finendo nella basilica romana di Santa Maria Maggiore, per poi essere rimosso da Papa Francesco?L'indagine dei quattro cronisti, durata oltre trent'anni e capitanata da Robinson/Keaton, sottolinea la connivenza delle istituzioni: dai tempi del «Watergate» non circolava un'inchiesta così clamorosa, in grado di toccare 102 diocesi nel mondo, tra America Latina, Africa ed Europa. Non a caso ha vinto il premio Pulitzer nel 2003, mentre il film, forte d'un grande cast (da Mark Ruffalo a Stanley Tucci) esalta gli eroi della vicenda: i cronisti investigativi. Tra i più tenaci c'è lui, Keaton, il Batman di Tim Burton, che qui trova una nuova giovinezza interpretativa.

Che cosa significa fare il giornalista investigativo, nell'era di Internet?

«È una benedizione. Ho interpretato il ruolo del giornalista tre volte (Cronisti d'assalto, 1994; Live for Baghdad, 2002, e Spotlight, ndr) e poi leggo i quotidiani, guardo le news in tv, magari seguo meno Internet. Nutro interesse per il giornalismo e ho trovato molto interessante il copione di Spotlight».

I giornali hanno ancora la loro importanza?

«A Pittsburgh, in Pennsylvania, dove sono nato, c'è un quotidiano locale di sei pagine, dove le notizie non vengono approfondite. A Flint, nel Michigan, è esploso il dramma dell'inquinamento da piombo nelle acque, che provocava danni cerebrali ai bambini e soltanto Erin Brokovich se n'è occupata. Ci fosse stato un buon team investigativo, certe crisi sarebbero state arginare. Oggi i giornali sono in difficoltà».

Come si è preparato al ruolo del cronista d'assalto?

«Sono stato accanto a Walter Robinson, parlando non solo dell'inchiesta ma anche della vita in generale. Di natura, sono curioso e appassionato di giornalismo: ho fatto tante domande e per cogliere l'essenza della persona ho voluto sapere anche come gioca a golf!».

Quale sarà l'impatto del film, in Italia?

«Come negli altri Paesi. Un film del genere non può non coinvolgere le platee. Negli Usa incontravo il pubblico dopo le proiezioni e un giorno un uomo mi si è avvicinato, per ringraziarmi: non aveva mai confessato a nessuno d'essere stato vittima di abusi. Il film non punta il dito contro la religione rispetto ogni credo ma va al di là, parla di abuso di potere. Vengo da un'educazione cattolica: mia madre non ha mai mancato la messa, ogni giorno della sua vita e mi rattrista che la gente abbia perso la fede per cose del genere. Ho molta fiducia in questo nuovo Papa, che spinge un enorme masso in cima alla collina».

Che cosa pensa del boicottaggio degli Oscar, presunti razzisti sia da parte dei neri che da parte dei bianchi?

«È un

argomento più vasto, che riguarda i casi di inuguaglianza e non soltanto per la gente di colore. Una cosa o è giusta, o ingiusta: non conosco i meccanismi dell'Academy per le nomination, ma forse qualche cosa va rivista».

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