Piero Pelù, a Padova l'altra sera avete iniziato l'ultima tournée dei Litfiba.
«Ed è stato intenso come nel primo concerto della nostra storia, alla Rokkoteca Brighton di Firenze il 6 dicembre 1980. Centocinquanta persone».
Al Gran Teatro Geox erano dieci volte tanti per applaudire l'ultima versione dei Litfiba, il primo vero grande motore del rock italiano capace di mescolare le influenze hard rock, punk e new wave anglosassoni con il gusto della melodia latina. Una cavalcata che negli anni Novanta ha raggiunto il successo di classifica con album come El diablo, Terremoto, Spirito e Mondi sommersi e con brani ormai standard della nostra musica come El Diablo e Regina di cuori. Ora il tour finale che durerà tanti mesi in giro per l'Italia. Dopotutto a 60 anni (Pelù) e 68 (l'altro fondatore, il chitarrista Ghigo Renzulli) la corsa della band è arrivata al capolinea e bisogna riconoscere a questi scavezzacolli del rock una coerenza sempre più rara.
Però non farete mica come Elio e le Storie Tese che hanno annunciato lo scioglimento ma poi ogni tre per due ritornano insieme?
«Mai prevedere il futuro, preparatevi a festeggiare il 50esimo della band». (ride - ndr)
Sin dall'inizio il concerto è un urlo contro la guerra e contro le mafie. E ogni canzone è spiegata da qualche parola che la contestualizza.
«Sicuramente, facendo le due scalette che abbiamo pensato per questo tour, ho scoperto versi che sono di una attualità quasi imbarazzante, nonostante siano stati scritti talvolta anche più di trent'anni fa».
Un concerto impegnato.
«Molto diverso da quelli di oggi che puntano sui sentimenti. Non ci sembrava onesto vivere in una bolla, visto il momento che stiamo attraversando. Perciò sul palco ci sono quattro grandi X che simbolicamente sono più forti della guerra di Putin».
Contro un'altra guerra, quella nella ex Jugoslavia del 1999, lei ha cantato Il mio nome è mai più con Ligabue e Jovanotti.
«In tre mesi abbiamo ricavato i soldi per costruire tre ospedali».
Jovanotti dice che oggi è molto difficile ripetere una operazione del genere.
«Di certo la cosiddetta musica liquida rallenta moltissimo i tempi, visti gli incassi difficili da calcolare. Però sto cercando di coinvolgere Luciano Ligabue...».
Per che cosa?
«Sarebbe bello pensare a un evento in questa direzione, purché sia messo in piedi con l'aiuto di organizzazioni trasparenti. In questo momento ci sono 53 guerre in corso sul nostro pianeta e milioni di profughi: è giusto fare qualcosa».
In questi mesi si discute sull'opportunità di mandare armi all'Ucraina.
«Certo. Io rispetto sia i pacifisti puristi sia quelli che non vogliono farsi mettere i piedi in testa. Anche Ghigo è un pacifista come me. Ma ci sono determinati periodi durante i quali ci vogliono anche le armi. Diciamo che siamo pacifisti, ma non masochisti».
Però le polemiche non fanno la pace. Hanno persino criticato il «Fuck Putin» di Damiano dei Måneskin al Coachella.
«Oh Damiano c'ha 24 anni, non rompiamogli le scatole».
Ogni canzone del concerto è legata da una sua «spiegazione». Ci sono tanti nomi, da Gino Strada a Elon Musk...
«... che sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, ci scommettiamo?».
... a Kurt Cobain.
«La sua morte è stata uno shock che mi ha portato a scrivere il brano Lo spettacolo. Non ero e non sono d'accordo con la sua decisione di uccidersi. Anche dopo l'ultimo concerto dei Litfiba, per me lo spettacolo dovrà ancora cominciare».
A metà degli anni Ottanta i Litfiba (con altri gruppi) hanno portato davvero una ventata di musica nuova in Italia.
«È capitato tutto con il cuore, la testa e tanta fatica».
Oggi chi sono i nuovi Litfiba?
«Senza dubbio i Fast Animals and Slow Kids e i Måneskin, nessun italiano ha mai avuto tanta popolarità nel rock».
Loro sono seguiti da uno staff internazionale. Se allora lo avessero chiesto a voi?
«Non lo so, la musica è completamente diversa. Noi eravamo artigiani del rock, anche se ci fu un momento nel quale un grande produttore come Chris Blackwell mostrò interesse per i Litfiba. Chissà. Però non eravamo pronti, probabilmente non avremmo accettato. Di certo in quel periodo eravamo fuori come cornicioni...».
Rivivrebbe quegli eccessi?
«Senza dubbio sì».
Tante rockstar sognano di morire sul palco.
«No rockstar no. Io sono un rocker».
Ma come sogna di arrivare alla fine?
«Uso una frase tipica tra noi musicisti che sogniamo di morire venendo oppure suonando...».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.