Le testate giornalistiche di fine Ottocento erano più affascinanti e fresche, addirittura ironiche bisogna pur riconoscerlo delle attuali: Capitan Fracassa, Don Chisciotte della Mancia, Folchetto, Il Torneo. Non sono esempi presi a caso e sono stati scelti da Adriano Monti Buzzetti Colella per svolgere la sua ricerca sulle origini del giornalismo parlamentare con il lavoro, insieme istruttivo e divertente, Reporter col cilindro (Giubilei Regnani). Giulio Andreotti, che con uno scritto del 2008 firma la Prefazione del testo, osserva che si tratta di una «particolarissima storia d'Italia» e nota che con una «documentazione inedita» si dà rilievo a un metodo di lavoro giornalistico che ancora oggi può risultare utile per riconsiderare e migliorare il giornalismo che si aggiunga con l'avvento dell'informazione in «tempo reale» e «irreale» ha visto prima il declino e poi la scomparsa della nobile figura del cronista parlamentare.
Come diceva l'Ariosto aprendo il suo gran poema? Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese io canto. E la stessa cosa ha fatto Adriano Monti Buzzetti Colella, che ha un nome che sembra una marcia d'orchestrali, che ha raccontato amori, duelli, penne, sfide, maneggi, imprese e fallimenti dei giornali e dei giornalisti italiani che hanno la stessa data di nascita dell'Italia tutta unita, senza l'esclusione della stessa Roma dei Papi che con l'ingresso dei bersaglieri il 20 settembre 1870 diventò di fatto la nuova capitale del Regno. Il lavoro di Adriano Monti sia concessa l'abbreviazione che è un noto problema giornalistico che è di stanza al Tg2 come vicecaporedattore della Cultura, ricopre un quindicennio circa di storia giornalistica e parlamentare: dal 1876, quando la Sinistra storica va al governo, al 1892 quando esplode lo scandalo della Banca Romana. Il protagonista di questi anni non è né Francesco Crispi e nemmeno l'inventore del trasformismo Agostino Depretis, che pure fu ben otto volte presidente del Consiglio, bensì Luigi Arnaldo Vassallo. Chi è? Il pioniere del giornalismo moderno. Un genio. Sa usare la penna e la matita, scrive e disegna, titola, critica, fustiga, inventa e con Capitan Fracassa, concepito e finanziato nel caffè-birreria Morteo in via del Corso a due passi da Palazzo Chigi, trasforma il giornalismo del tempo in un'attività insieme professionale e letteraria. Le cose andarono così. Si ritrovarono una sera, come spesso accade tutt'oggi, quattro amici al bar ed erano tutti giornalisti o praticavano l'insana abitudine di frequentare redazioni e altri postriboli: Federico Napoli, Gennaro Minervini, Peppino Turco e, appunto, Vassallo che veniva da Genova ma si era ambientato bene nella nuova Roma in cui si incrociavano le penne e le spade. Luigi Arnaldo Vassallo, che firmava un po' ovunque con lo pseudonimo di Gandolin ossia vagabondo, tirò fuori l'idea fissa di ogni giornalista di razza: «Facciamo un giornale tutto nostro». E così misero giù il progetto: redazione, sede, battaglie e nome geniale: Capitan Fracassa. Dove si fermarono? Dove ci si ferma sempre: i soldi. Ma in quel momento entrò il banchiere Moisé Bondi. Gli esposero l'idea e il banchiere, che si era trasferito da Firenze a Roma, che non era fesso, altrimenti non poteva essere banchiere, prese a volo l'occasione di avere un giornale: «Ecco diecimila lire». Una cifra enorme per l'epoca e della quale non volle mai la restituzione.
È il caro vecchio problema del finanziamento dei giornali che genera come scrisse una volta Vittorio Feltri nella Prefazione al libello di Tito Giliberto Penne Sporche l'omissione, la distrazione, l'autocensura, il conformismo, la vigliaccheria. Tutti difetti del giornalismo nostrano (non solo nostrano) che, però, non furono di Gandolin e del suo Capitan Fracassa che finì per fracassare non poco l'anima ai potenti di turno. Perché, in fondo, il mestiere del giornalista, come disse una volta un decano dei cronisti parlamentari come Guido Quaranta, consiste «nel rompere i coglioni a tutti».
Vassallo fu il direttore del giornale e il Fracassa, con i suoi articoli e con i suoi «pupazzetti» oggi diciamo vignette divenne «il centro intellettuale della nuova Roma». Non a caso per la redazione passarono, per citarne solo alcuni, Gabriele D'Annunzio, Edoardo Scarfoglio, Edmondo De Amicis, Matilde Serao, Cesare Pascarella, Trilussa mentre lo stile, lo pseudonimo, i «pupazzetti» vennero letteralmente copiati dagli altri quotidiani romani. Tutti lo cercano e tutti lo vogliono dirà il Vate di Luigi Arnaldo Vassallo perché «sa cogliere il lato ridevole degli uomini e delle cose e in un sol gesto o in sol motto o con un segno solo della matita rappresentarlo». Appunto, un genio.
Che più? Molto, molto altro perché il libro, di cui qui si è dato un piccolo assaggio, è una miniera d'oro di notizie e di disegni su un tempo lontano ma non troppo della nostra storia patria, politica e giornalistica, che come avvertiva
l'avvertito Giulio Andreotti scrivendo all'autore andrebbe riscoperta per rinfrescare l'aria delle stanze del giornalismo contemporaneo, così conformista, così «corretto», così privo della santa ironia del Capitan Fracassa.
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