"I ventilatori polmonari meccanici? Prodotti in serie a meno di mille euro"

L'astrofisico italiano è un esempio virtuoso di scienza applicata

"I ventilatori polmonari meccanici? Prodotti in serie a meno di mille euro"

Federico Nati è un astrofisico sperimentale che di solito lavora a progetti come telescopi giganti montati su palloni da spedire nella stratosfera sopra l'altopiano dell'Antartide... Ora, chiuso in casa a Milano da due mesi (è tornato dall'Antartide «proprio a metà gennaio»), oltre a insegnare Fisica a distanza ai suoi studenti dell'Università Bicocca, ha trovato il modo di operare comunque «al banco di lavoro», grazie a un progetto molto vicino alla nostra quotidianità, quello di «Milano ventilatore meccanico»: produrre ventilatori polmonari, così necessari durante l'emergenza per salvare vite, e produrli in Lombardia, a basso costo - «meno di mille euro» - e in tempi rapidi, nell'ordine di «migliaia di unità in poche settimane». «Mvm» ha appena ottenuto la certificazione di emergenza della Food & Drug Administration, ed è in attesa delle autorizzazioni in Italia.

Che cos'è «Mvm»?

«È un progetto nato dall'idea di pochi, guidati da Cristiano Galbiati, docente di Fisica a Princeton, e dal Nobel canadese per la fisica Arthur McDonald, che attraverso il crowfounding ha attirato la collaborazione di oltre cento persone nel mondo. In Italia, oltre a università come la Statale di Milano, la Bicocca e il Politecnico, partecipano l'Infn, il Laboratorio del Gran Sasso, il Cnr e diverse aziende».

Aziende lombarde?

«Il fulcro è qui a Milano e in Lombardia, anche se molti hanno contribuito da remoto. L'evoluzione del progetto è stata rapidissima: è nato a fine marzo e ha già ricevuto il primo livello di certificazione negli Usa».

Il ventilatore esiste già?

«Esiste fisicamente, come oggetto, replicato e replicabile: questa cosa è incredibile, per come è avvenuta... Ed è avvenuta grazie all'opera di molte persone. Dal punto di vista dell'hardware è stata fatta a Milano e dintorni, però non è stata quella la parte più complicata».

Qual è stata?

«Quella di software e di consulenza. Il ventilatore è un macchinario molto semplice, al massimo ha venti componenti; tutta la complessità è nel computer centrale e nel software, che deve regolare apertura e chiusura delle valvole per fare respirare il paziente. E poi il problema è produrne tanti in poco tempo, e non è un problema solo economico, bensì di riuscire a produrli durante l'emergenza con le parti disponibili sul territorio nazionale, su vasta scala».

E i costi?

«Meno di mille euro: poiché le parti sono altamente disponibili, sono anche economiche».

Come avete trovato le aziende?

«Le conoscevamo già, come Elemaster e Nuclear Instruments. Noi facciamo un mestiere che riguarda la ricerca di base, ma abbiamo pensato che il modo efficiente in cui siamo abituati a lavorare, a far funzionare sistemi complessi e ad affrontare gli imprevisti, e a realizzare collaborazioni con altre figure e aziende, si potesse applicare al progetto, e funzionare».

Una bella prova che la scienza serve davvero?

«Assolutamente. Il nostro mestiere è tradurre la natura in numeri e in comportamenti, per capire la realtà: ci sono interazioni con il tessuto sociale forti e immediate. E poi siamo abituati a collaborare con persone in tutto il mondo».

Lei è anche abituato all'isolamento, come racconta nel suo libro L'esperienza del cielo (La nave di Teseo).

«La mia esperienza è proprio vivere in pochi, in posti remoti e per molti mesi, per esempio l'Antartide, o vicino alla cima di un vulcano cileno, a 5000 metri, per osservare l'origine dell'universo da un telescopio gigante...».

E come ci si sente in questi posti?

«Distanti da tutti.

In Antartide non c'è la tragedia del Coronavirus, ma non ci sono nemmeno le comodità: consegne a casa, tv, connessione internet... Al momento, alla base americana di McMurdo ci sono molte persone bloccate che si preparano all'inverno in Antartide. Penso siano gli unici a non preoccuparsi del distanziamento sociale».

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