"Io, magistrato a metà tra etica e amore paterno. Così ritorno alla fiction"

Dopo 20 anni è protagonista di "Vostro onore". "L'esposizione mediatica condiziona i giudici"

"Io, magistrato a metà tra etica e amore paterno. Così ritorno alla fiction"

Vent'anni lontano dalla fiction Rai. E per il gran ritorno sugli schermi generalisti, Stefano Accorsi ha giocato una carta che potrebbe rivelarsi vincente. Dal 28 febbraio su Raiuno sarà infatti lui il protagonista di Vostro onore, adattamento italiano della pluripremiata serie israeliana Kvodo, sceneggiato da Donatella Diamanti e diretto da Alessandro Casale. Una storia con stimolanti spunti d'attualità (un magistrato integerrimo per salvare il figlio scende a patti con la criminalità) e l'appeal di un intenso dramma morale (fino a che punto si può macchiare la propria coscienza per salvare una vita?) «che apparenta questo crime - commenta l'attore bolognese - ai grandi temi esistenziali della tragedia greca».

La serie originale si svolgeva nel deserto, e aveva come sfondo i contrasti israeliano-palestinese.

«Dunque necessitava di un adattamento italiano. Così la Diamanti ha trasferito l'azione a Milano, sullo sfondo della lotta fra una camorra invisibile e un'esplosiva criminalità latinoamericana. Ma la sostanza del racconto il già difficile rapporto fra un padre e un figlio, reso ancor più critico dalla necessità che il genitore ha di tradire i propri principi, pur di salvarlo - è rimasta quella. Ed è ciò che più mi ha attratto».

Perché?

«Ho un figlio adolescente, più o meno della stessa età. Il che vuol dire tanti problemi di gestione familiare quotidiana, e quindi anche immedesimazione nel personaggio. Ma soprattutto mi sono chiesto: se io genitore mi fossi trovato davanti allo stesso bivio etico, che strada avrei imboccato?».

E cosa si è risposto?

«Non ci sono due risposte possibili. L'istinto paterno è atavico: non si può sfuggirgli. Davanti a certe cose non si può riflettere più di tanto: quel che il personaggio fa è comprensibile, anche se forse non giustificabile. Per questo dico che, pur essendo un crime, Vostro onore ha qualcosa in comune con la tragedia greca. La dimensione del protagonista non è diabolica, ma machiavellica».

Una volta, nella percezione pubblica, i giudici erano i martiri sacrificati dalle Br o dalla mafia, erano gli eroi popolari (a ragione o meno) di «Mani pulite». Oggi quest'aura sacrale è incrinata, se non distrutta, dagli scandali.

«Noi non vogliamo rendere un buon servizio, ma nemmeno cattivo, alla figura del giudice. Non raccontiamo né un eroe né un criminale corrotto. Ma un uomo posto di fronte ad un dilemma dilaniante».

Ha mai conosciuto da vicino un magistrato?

«Sul set abbiamo sempre avuto degli esperti della materia, che ci potessero supportare nei passaggi più problematici. Ma già nel 2013, quando girai per Mediaset Il clan dei camorristi, ebbi modo di conoscere Raffaele Cantone. E capii quanto complesso e variegato possa essere il mondo della magistratura. Soprattutto quando finisce sotto i riflettori dei media. È stata l'enorme esposizione mediatica ad agevolare, ma anche ostacolare, le azioni di Falcone o Di Pietro. A questi difficili rapporti interni al mondo della giustizia pone attenzione anche la nostra serie».

Rispetto al giudice della serie originale il suo risulta molto più emotivo, umanamente più simpatico.

«Questa doveva diventare una serie italiana. E al centro della cultura italiana c'è la famiglia. Era inevitabile che le reazioni del personaggio, ma anche i suoi rapporti col figlio, finissero per manifestare un calore che è tutto, tipicamente nostro».

A proposito di giustizia: che ne pensa dell'opportunità o meno del referendum in merito?

«Credo che su argomenti così delicati

dovrebbe deliberare chi ha le competenze per farlo. Il referendum è uno strumento democratico importantissimo. Ma alle volte rischia anche di diventare il mezzo con cui la politica evita di dare delle risposte in prima persona».

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