Così si parla: duro, pochi fronzoli, qualche volata poetica, grinta a palate. È il codice rap. Gué Pequeno ha 33 anni e altrettanti interessi, se va bene: «Voglio esser diverso da qualunque altro rapper italiano» dice poco prima di partecipare al Music Summer Festival in Piazza del Popolo a Roma. Intanto è uno dei Club Dogo, rap di brutto, autentici master of ceremonies della classifica italiana. Vanta un elenco sconfinato di mixtape e featuring, che sono, per intenderci, varie forme di collaborazioni della galassia hip hop. Il suo nuovo cd da solista Bravo ragazzo è già disco d'oro e top ten in classifica. È discografico (la sua etichetta Tanta Roba pubblica anche Salmo o Ensi), naturalmente anche scrittore, tra poco firmerà pure un linea d'abbigliamento e, per non farsi mancare nulla, ha inventato format e pure «dissing» feroci, ossia quelle rime che sono sostanzialmente i «j'accuse» nel genoma rap: attacchi di solito riferiti a colleghi (in questo caso Inoki: «Dici che non lo fai per soldi solo perché non hai mai fatto i soldi»). In poche parole, e con le dovute proporzioni, è la versione italiana del megarapper stile Jay Z: un businessman ispirato che non nasconde né la vocazione per la musica né quella per gli affari. Anzi: le esibisce proprio perché questa, piaccia o no, è la nuova, irrinunciabile natura delle popstar.
Però, Gué Pequeno, tutto questo attivismo calamiterà per forza un po' di critiche nel suo ambiente.
«E come no? Ma ho sempre lottato contro le piccolezze dell'invidia italiana: forse perché mi ispiro ai grandi dell'hip hop mondiale».
Tutti uomini d'affari self made.
«E a me fa piacere: faccio interviste su grandi giornali, sono finito pure sui rotocalchi di gossip per un flirt (con Nicole Minetti - ndr), sento che il pubblico mi segue e riesco a esprimere ciò che ho in mente».
C'è scritto che la sua è «una testa malinconica e violenta tutta tappezzata di marchi costosi e tatuaggi».
«Visto che la moda è una mia grande passione, lancerò anche un linea di abbigliamento street wear: roba bella, mica magliette stampate tra amici, il designer è Giorgio Di Salvo, uno che ha una grande esperienza all'estero».
Gué Pequeno stilista: preferisce Alexander McQueen o Giorgio Armani?
«Il primo senz'altro, anche se con Armani abbiamo fatto qualche piccola collaborazione in tv».
A furia di collaborare con altri, qualcuno pensa che smetterà di farlo con i Club Dogo.
«I Dogo sono come una famiglia allargata: ognuno di noi ha bisogno di altri spazi. Ad esempio, anche Jake La Furia farà un disco da solo. E nel 2014 uscirà quello nuovo dei Dogo».
Per forza: ogni volta posti altissimi in classifica: segno dei tempi.
«E io provo due forme di sottile piacere».
La prima.
«La rivincita verso giornalisti o vecchi discografici e radiofonici che non ci avevano capito».
E l'altra?
«Accorgermi che tanti cantautori di lunghissimo corso iniziano a farsela sotto perché la pacchia è finita».
D'altronde proprio De Gregori (che sarà sullo stesso palco del Music Summer Festival) ha definito i rapper come i nuovi cantautori.
«Ed è un processo inarrestabile: e il fatto che un rapper come Moreno abbia vinto Amici dimostra com'è cambiato il mondo, anche se qualcuno faceva finta di non accorgersene. Il grave è che in Italia ci siamo arrivati con almeno dieci anni di ritardo».
Un mercato a compartimenti stagni.
«Quell'ottica è finita. Noi siamo trasversali. Nel mio disco ci sono collaborazioni con Crookers o Marco Zangirolami. E featuring con Fabri Fibra o Emis Killa. L'altro giorno a Londra con Marracash ho girato il video di Brivido e quello di Tornare indietro con Arlissa (che è nel roster di Jay Z).
Qualcuno dice che Gué Pequeno è il Woody Allen «degli zarri e degli hipster».
«Beh, sono due categorie che mi apprezzano e mi piacciono pure parecchio».
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